Questo articolo contiene dati ma soprattutto aneddoti personali sul quotidiano sessismo vissuto da una donna che lavora nel tech.
Tantissime grazie per lo splendido lavoro di supporto, si nota che hai sangue italiano, sei dolcezza pura. — Juan, conversazione in spagnolo in live chat, ottobre 2015
Me le segnavo tutte, le frasi sessiste dei clienti che comparivano nel campo messaggi della chat del supporto tecnico. In quel periodo, ottobre 2015, ero appena entrata nella squadra di un plugin di cache per siti WordPress, mi occupavo del supporto tecnico multilingue. Tra email e live chat, ogni giorno comunicavo in quattro lingue con persone da ogni angolo del mondo.
La squadra del supporto tecnico in cui lavoravo oggi sarebbe un perfetto manifesto di Diversity&Inclusion: dalla Francia alla Serbia, passando per India, Stati Uniti, Colombia e Argentina, il nostro era un gruppo unito da una lingua franca – l’inglese – e dal grande privilegio di poter lavorare da remoto. Ma in quanto a origini etniche, credo religioso, orientamenti sessuali e identità di genere, l’eterogeneità era il nostro comune denominatore.
Ci occupavamo di supporto al cliente per un software piuttosto tecnico; la maggior parte dei nostri clienti erano persone che lavoravano a vario titolo nello sviluppo web.
Io mi sentivo un pesce fuor d’acqua.
Non sapevo nulla di programmazione, PHP, mercato SaaS.
Sapevo studiare, però, e quello feci con tutto l’ottimismo che mi contraddistingue quando inizio una nuova pagina della mia vita.
Sapevo anche comunicare bene e in condizioni difficili: dopo gli anni di lavoro in una clinica di riproduzione assistita, dover parlare di siti WordPress mi sembrava sufficientemente sicuro e di certo meno drenante a livello psicologico.
Se quello in clinica era un gineceo in pieno regola, però, il lavoro nel tech era (ed è ancora) un affare molto maschile.
L’etichetta di “donna nel tech” mi rimbalzava tra occhi e orecchie innumerevoli volte alla settimana. Lo sentivo durante le riunioni con i developer (per diversi anni erano tutti uomini cis) e nelle comunicazioni con i clienti.
Era straniante sentirsi parte di una squadra di supporto affiatata ed eterogenea e poi scontrarsi con il pregiudizio sessista nelle comunicazioni esterne. Pregiudizio spesso attivato perché il nome che spuntava in cima alle mie email o ai messaggi di live chat era femminile:
Grazie per la risposta. Ho appena scommesso con il mio collega che non puoi essere una donna. C’è un uomo dietro il tuo nickname, vero? — Steve, conversazione in inglese in live chat, novembre 2015
Mi mandi una foto?
Le difficoltà di accesso (e permanenza) delle donne e delle persone di genere non conforme nel settore tech sono un problema di lunga data.
Sessismo, paternalismo, invisibilizzazione, gatekeeping: se anche tu lavori in questo ambito probabilmente hai un’idea del tipo di micro e macro aggressioni che permeano lo scintillante mondo dell’innovazione tecnologica.
Quella sensazione di inferiorità di fronte a una platea in prevalenza maschile – fossero colleghi, clienti o partecipanti a una conferenza – è stata una delle più difficili da decostruire, per me.
Grazie mille per la risposta. Ora puoi mandarmi anche una foto del tuo cu*o?
— Marc, conversazione in francese in live chat, febbraio 2016
Mi è ancora difficile trovare le parole per il senso di umiliazione che mi pervadeva quando il mio lavoro veniva sminuito con un commento sessista; soprattutto agli inizi, quando io stessa mi alzavo ogni giorno chiedendomi cosa mi fossi mai messa in testa.
Perché avevo deciso di complicarmi la vita passando al tech?
Di recente ho letto il sondaggio The state of gender equity in tech condotto da Web Summit all’interno della community Web Summit Women in Tech; il campione non è certo dei più consistenti (340 persone), ma l’ho trovato interessante da leggere. Restituisce l’ennesimo sguardo desolante sul trattamento riservato alle donne che lavorano nel tech.
L’indagine rivela che negli ultimi 12 mesi quasi il 67% delle donne intervistate ritiene di essere pagata in modo non equo rispetto alle controparti maschili.
Nel 2019, il 46,4% delle persone intervistate riteneva di ricevere una retribuzione equa, mentre nel 2022 questa percentuale è scesa al 33,1%.
Il 61,9% delle persone intervistate si sente addosso la pressione di dover dimostrare in continuazione il suo valore rispetto ai colleghi uomini. Il 37,3% sente il bisogno di scegliere tra seguire la carriera o seguire la famiglia.
Se ti interessa capire meglio la situazione del divario di genere nel settore tech italiano, invece, puoi fare riferimento allo studio 2022 di SheTech e IDEM: Tech — (Non) è un lavoro per donne.
I dati assenti
La verità è che di indagini sul tema ormai è pieno il web. Bene, ma non benissimo. Perché più i report si avvicendano anno dopo anno, più sento forte e chiara la grande assente: l’esperienza delle persone trans, non binarie e di genere non conforme.
La mia osservazione empirica è sicuramente fallace: nella mia bolla social, e in particolare su Twitter, dove interagisce la gran parte della community WordPress in cui mi muovo anche io, ho incrociato diverse persone trans e non binarie con una professione nel tech.
Ma è davvero difficile trovare dati e report che le includano e che esplorino le loro condizioni di lavoro nel settore (e nel mondo del lavoro in generale, per dirla tutta).
D’altronde, come ricorda Monica J. Romano in un pezzo per inGenere «per evitare le discriminazioni le persone transgender, gender non-conforming e non-binary sono spesso portate a celare, per quanto possibile, la propria reale identità di genere. La carriera o la stabilità del posto di lavoro sono influenzate dal rendere pubblica o meno la propria condizione: la diffusa disinformazione sulla realtà trans “genera spesso equivoci, imbarazzo e a volte violenza e aggressività”».
Questo post, che nasce con un titolo provocazione (sia mai che si pensi che noi donne siamo davvero sempre arrabbiate!), è stato pubblicato a ottobre 2022 su Ojalá, la mia newsletter sulla comunicazione inclusiva e accessibile.
Puoi leggere il resto dell’episodio qui: #34 Perché le donne (del settore tech) sono sempre arrabbiate?
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