Femminismo bianco è l’espressione che si usa per descrivere i discorsi e le attività femministe che si occupano delle questioni importanti per le donne bianche, ma che escludono o non affrontano quelle rilevanti per le persone razzializzate e/o parte della comunità LGBTQIA+.
Come ricorda la voce “white feminism” su Dictionary.com (traduzione mia):
«Le prime due ondate del femminismo (la prima focalizzata sul diritto di voto e la seconda sulla lotta per una maggiore uguaglianza su diversi altri fronti) sono state considerate esempi di femminismo bianco: hanno escluso in larga misura le donne nere e le donne della comunità LGBTQ+».
In un bellissimo articolo intitolato The Gaps of White Feminism and the Women of Color who Fall Through, Jahdziah St. Julien ed Emily Hallgren ricordano che già nel 1866 le donne nere chiedevano un movimento femminista più inclusivo e fondato sull’intersezionalità (termine che a quei tempi non esisteva ancora):
«Un anno dopo la Proclamazione di Emancipazione, Frances Ellen Watkins Harper, donna nera, oratrice, abolizionista, attivista e scrittrice, tenne un discorso alla Convenzione nazionale dei diritti delle donne del 1866.
Mise in discussione l’incapacità del femminismo bianco di lottare contro l’oppressione razziale che colpiva le donne nere.
“Se c’è una classe di persone che ha bisogno di essere sollevata dalle sue arie e dal suo egoismo, sono proprio le donne bianche d’America”, concludeva Harper. In questo discorso alludeva alle carenze del femminismo bianco suffragista, esprimendo la necessità di un’ideologia diversa, radicata nella liberazione di tutte le donne».
L’espressione come la conosciamo oggi compare per la prima volta nel 1986 nel testo di Paula Gunn Allen: Who is Your Mother? Red Roots of White Feminism. Torna poi alla ribalta durante la terza ondata del femminismo negli anni Novanta, insieme a concetti come diversità, identità e intersezionalità.
Scrive Rachel Elizabeth Cargle su Harper’s Bazaar:
«[Il femminismo bianco] è quell’atteggiamento mascherato da femminismo solo finché fa comodo, finché risulta personalmente gratificante, e mantiene in piedi il proprio “brand”. Ma se la storia di questo movimento ci ha insegnato qualcosa, è che l’intersezionalità nel femminismo è vitale.
Non possiamo dimenticare il modo in cui le suffragette hanno respinto le voci delle donne nere, relegandole alla coda delle loro marce. Attiviste nere come Ida B. Wells e Anna Julia Cooper hanno fatto passi da gigante lottando per il voto ma anche per i loro diritti come persone nere […]. Senza un’inclusione intenzionale e basata sull’azione delle persone BIPOC (Black, Indigenous and People of Color), allora il femminismo è semplicemente supremazia bianca con i tacchi».
«Dire che ci stiamo avvicinando a uno scenario simile a “Il racconto dell’ancella” è un pensiero totalmente bianco che ignora il fatto che noi (ndt. persone nere) stiamo combattendo contro genocidio e schiavitù da più di 500 anni. Se pensi che “Il racconto dell’ancella” sia scioccante, aspetta di conoscere la storia delle donne Nere negli Stati Uniti».