Per spiegare questa espressione ricorro a un breve estratto dal capitolo 3 di Scrivi e lascia vivere che cita il volume 1 del saggio Antirazzismo e scuole:
L’aggettivo razzializzato, nato nell’ambito della sociologia, identifica le persone che ricevono un trattamento oppressivo o discriminatorio per via della categoria razziale assegnata loro dalla società:
«Nella sociologia contemporanea, si preferisce usare il termine razzializzazione (Frisina 2020, pp. 47-50) per mettere in luce le circostanze storiche e politiche che riproducono le gerarchie razziali e si cerca di spostare l’attenzione da coloro che vengono definiti razzialmente (i “neri”, gli “zingari”…) ai gruppi sociali più potenti, cioè ai razzializzatori, coloro che traggono vantaggi simbolici e materiali dai processi di gerarchizzazione umana. Il privilegio è per lo più invisibile agli occhi dei privilegiati, che spesso sono inconsapevoli del suo impatto sulle vite proprie e altrui.
La razzializzazione implica l’inferiorizzazione o peggio la de-umanizzazione, la segregazione spaziale, lo sfruttamento economico, la violenza materiale e simbolica nei confronti di soggetti che vengono considerati appartenenti a determinati gruppi e, più o meno esplicitamente, non appartenenti a un noi normativo: i “bianchi” o anche gli italiani (doc, di origine controllata).»
Il volume 1 di Antirazzismo e scuole è disponibile liberamente online: lo hanno curato Annalisa Frisina, Filomena Gaia Farina e Alessio Surian per Padova University Press.
Se preferisci una spiegazione video, ascolta la docente Angelica Pesarini (Professoressa assistente in Italianistica e in Studi su razza, cultura e diaspora presso l’Università di Toronto) che ne parla per l’associazione “Il razzismo è una brutta storia”: