Violencia machista è una delle espressioni che, in Spagna e in alcuni Paesi latinoamericani come Messico e Colombia, si usa da circa un decennio per definire il problema sistemico della violenza contro le donne.
La Real Academia Española propone due sfumature di significato per la parola machismo: è sia l’atteggiamento di prepotenza degli uomini nei confronti delle donne che la forma di sessismo caratterizzata dal dominio maschile.
L’espressione violencia machista colloca il problema sulle spalle della parte agente, gli uomini. Io la trovo forte ed efficace: in sole due parole riesce a tratteggiare i contorni precisi e crudeli di un fenomeno pervasivo, che si esplicita su più livelli di gravità e che le statistiche e il vissuto personale di ognuna di noi ci dicono essere ancora parte integrante del nostro quotidiano.
In italiano, ci dice la Treccani, l’aggettivo machista serve a identificare «chi sostiene o pratica il machismo, facendo sciocca esibizione di virilità».
Ecco perché, secondo me, l’espressione violenza machista mantiene la sua potenza anche nella nostra lingua.
In Spagna l’espressione violencia machista inizia a fare timido capolino nella prima parte degli anni 2000. Lo conferma anche Google Trends:
Non è però l’unico modo in cui in spagnolo ci si riferisce alla violenza contro le donne. A seconda del periodo, del contesto o dell’orientamento politico di chi ne parla, possiamo rintracciare diverse espressioni per descrivere il problema.
Il più frequente sulla stampa rimane violencia de género (violenza di genere); ci sono poi violencia doméstica (violenza domestica), violencia sexista (violenza sessista), terrorismo patriarcal (terrorismo patriarcale).
Perché dare tanta importanza alla definizione di un fenomeno?
Violenza di genere, violenza domestica, violenza contro le donne… non sono tutte la stessa cosa?
Nel 2013, il sociologo Manuel Peris Vidal risponde a questa obiezione con un paper molto interessante sull’importanza della scelta terminologica:
«In alcuni settori si è tentato di depoliticizzare la violenza contro le donne approfittando della confusione generata dalla coesistenza di termini con significati diversi e dall’uso di espressioni su cui c’è consenso ma che finiscono per nascondere il vero carattere strutturale del problema.»
Usare un ventaglio di termini diversi, secondo Peris Vidal e molte delle fonti citate nel paper, confonde invece che chiarire.
La conseguenza è che molte delle notizie sulla violenza di genere sono trattate come semplici eventi violenti senza alcuna relazione tra loro né un inquadramento nella stessa cornice sistemica.
Violenza di genere, per esempio, è un concetto che può rendere invisibile il riferimento allo squilibrio di potere tra i generi e al patriarcato come quadro interpretativo della violenza contro le donne.
Anche all’espressione violenza domestica mancherebbe forza argomentativa, perché descrive azioni violente di una o più persone della famiglia nei confronti di un’altra. In senso più stretto, specifica Peris Vidal, se la vittima è la donna con cui l’aggressore ha avuto o ha una relazione, la violenza domestica è una delle manifestazioni di violenza contro le donne.
Parlare di violenza machista, invece, ci permette di andare subito al punto:
«L’aggettivo machista ha maggiore forza argomentativa rispetto agli altri perché allude sia alla causa che all’agente della violenza: “violenza causata dal machismo” e “violenza del macho” (Moreno, 2010: 906). Ha anche una connotazione peggiorativa: il suffisso -ista (“essere sostenitore di…”, “essere a favore di…”) può alludere al movimento ideologico, sociale o religioso derivato dal sostantivo (macho), e per questo potrebbe essere inteso come “violenza tipica del machismo”. Per tutte queste ragioni, diventando un termine che si riferisce a valori e giudizi di valore, la forza argomentativa di questa espressione è maggiore».