Nascere con dei privilegi non è stata una mia scelta. Ma ora è una mia responsabilità.
Lo dice Tatiana Mac, ingegnera statunitense che, oltre a progettare esperienze digitali inclusive e accessibili, è impegnata da anni nell’attivismo open-source e antirazzista.
L’ho conosciuta qualche anno fa su Twitter ed è anche l’autrice di una delle presentazioni tech più belle che abbia mai seguito: si chiama How Privilege Defines Performance, e analizza l’intersezione dei nostri privilegi con le esperienze che facciamo sul web.
La sua analisi ruota intorno a una constatazione: chi crea prodotti digitali (ma non solo) plasma l’esperienza di fruizione per renderla il più performante possibile, ma lo fa dal suo punto di vista.
Un punto di vista che di solito è facilitato da una posizione di privilegio condita con bias inconsci.
Tatiana Mac parte dalla definizione di privilegio:
Cosa si intende per privilegio?
Secondo Tatiana Mac, privilegio significa avere o vedersi garantiti dei vantaggi, dei trattamenti speciali o un’immunità solo per il fatto di rientrare in una certa categoria di persone.
Mac si addentra poi nell’inganno della categorizzazione, quella che, se lavoriamo nel marketing o nello sviluppo di prodotti, di solito identifichiamo con la creazione delle user personas.
Lo scopo delle personas è quello di creare rappresentazioni immaginarie, ma affidabili e realistiche, dei segmenti di pubblico a cui il nostro prodotto è destinato.
Secondo Mac, molto spesso gli utenti di un prodotto o servizio vengono classificati per nazionalità, razza, etnia, genere, classe, religione, caratteristiche fisiche e psichiche, orientamento sessuale. Sono le categorie che di solito compaiono nei moduli di iscrizione e di profilazione, o quelle che si prendono in considerazione per segmentare il pubblico e offrirgli diversi tipi di contenuti.
Il problema è che, gran parte delle volte, queste caratteristiche vengono interpretate secondo il sistema di potere dominante negli Stati Uniti e in Europa:
Un sistema in cui il potere è soprattutto nelle mani di uomini cis, bianchi, benestanti, protestanti, eterosessuali, statunitensi, neurotipici e senza disabilità.
Il tech è un esempio perfetto di ambiente in cui tutte queste caratteristiche creano una corazza potente di privilegio; ed è pure l’ambiente che genera prodotti con un’influenza enorme sulla vita di milioni di persone.
Come è composto il tuo muro del privilegio?
A un certo punto del suo discorso, Tatiana Mac etichetta i mattoncini del muro di privilegio con le sue caratteristiche per evidenziare il suo blocco di privilegio: non è un muro intero, perché lei non è bianca ma di origine asiatica, non è di religione protestante e non è nemmeno eterosessuale. In più, ogni mattoncino include anche delle sfumature: la depressione, l’essere statunitense di prima generazione, un benessere economico moderato dopo un’infanzia di povertà.
Il muro del privilegio ha delle sfumature che dipendono dal contesto e dalla lente con cui lo guardiamo.
Ho compilato il mio e, al netto delle sfumature, posso sintetizzarmi dicendo che sono una donna cis, dalla pelle bianca, di nazionalità italiana; non ho disabilità visibili, ho uno sviluppo neurotipico, sono stata considerata come cattolica ma ora mi considero agnostica; non ho problemi economici, quindi direi di essere benestante.
Fatta eccezione per le disparità dovute all’essere donna in un mondo androcentrico, tutti i miei mattoncini di persona nata in un Paese cattolico denotano una situazione di grande privilegio.
La posizione di partenza conta
Uno dei punti più interessanti della conferenza di Tatiana Mac è che l’altezza del nostro muro di privilegio determina la nostra posizione di partenza.
Maggiore la corrispondenza tra i nostri mattoncini e quelli del presunto status quo del muro bianco e nero visto sopra, più alto sarà il nostro muro di privilegio. E non per scelta, ma per caso.
È stato un caso, per me, nascere in Italia, in una famiglia di reddito medio e avere automaticamente diritto a un potente passaporto bordeaux.
Certo, otto mattoncini non bastano per esprimere il puzzle delle nostre identità soggettive. E l’altezza del nostro muro può variare nel tempo o nello spazio: la situazione economica può cambiare, così come lo stato di salute o il benessere psicofisico; oppure potremmo trovarci a vivere — per scelta o per cause di forza maggiore — in una zona del mondo in cui il nostro set di privilegi viene scombussolato.
È per questo che fare un check di privilegio, ogni tanto, non fa male.
Aiuta a capire in che punto ci troviamo, qual è il nostro potere e quali le nostre responsabilità.
Perché il privilegio con cui nasciamo sarà anche casuale, ma il sistema che ci garantisce la nostra porzione di potere non lo è.
Sul privilegio: altri consigli di lettura e ascolto
Sulla razza: un podcast
Sulla razza, un podcast sulla questione razziale in Italia che nasce per “tradurre in italiano concetti ed espressioni provenienti dalla cultura angloamericana, ma che ci ostiniamo ad applicare alla realtà italiana, come BAME, colourism, e fair skin privilege“. Le autrici sono Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Catena Mancuso.
Why I’m no longer talking to white people about race: un libro
Why I’m no longer talking to white people about race è il libro di Reni Eddo-Lodge per esplorare le sfaccettature del privilegio delle persone bianche e capire come questo si allacci al razzismo sistemico, ai problemi di classe e alla necessità di una visione femminista della società.
Code Bias: un documentario
Un documentario sugli errori e i pericoli dell’Intelligenza Artificiale (e sui bias di chi la sviluppa): Coded Bias, su Netflix, racconta la scoperta di Joy Buolamwini, ricercatrice del MIT, poeta e computer scientist, dei pregiudizi razziali e di genere nei sistemi di intelligenza artificiale venduti dalle grandi aziende tech. Insieme ad altre attiviste, Buolamwini ha fondato l’associazione Algorithmic Justice League.
“L’algoritmo identifica i bianchi ma non i neri”: un articolo
A proposito del lavoro di Buolamwini, questo bell’articolo di Donata Columbro approfondisce il tema della parzialità algoritmica ma anche un caso recentissimo che ha coinvolto la ricercatrice statunitense e il suo team. La settimana scorsa, la trasmissione 60 minutes di CBS News ha trattato il tema dei bias degli algoritmi di riconoscimento facciale, presentando i risultati e la ricerca di Buolamwini e delle ricercatrici Timnit Gebru e Deborah Raji, senza citarle mai né dar loro credito. 🤦♀️
Self-Defined: un dizionario open-source
Self-Defined è il fichissimo progetto open-source di Tatiana Mac (sì, sempre lei, sì, tanta stima). “Un dizionario moderno che parla di noi”, è una raccolta di definizioni fluide di termini che spiegano il mondo di oggi. La cosa migliore? Chiunque può proporre un termine e la sua definizione. 💛
Questo articolo è uscito il 24 maggio 2021 nel settimo numero di Ojalá, la mia newsletter sulla comunicazione inclusiva.
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