Il mio primo intervento a una conferenza tech fu nel 2016 al WordCamp Barcellona. Dopo quel dicembre di sei anni fa ci ho preso gusto. Negli anni ho parlato di buone pratiche di supporto al cliente, prestazioni web, localizzazione software e scrittura accessibile a Milano, Torino, Bari, Parigi e Porto (quasi tutti gli interventi sono su WordPress TV).
Fino al 2020 le mie partecipazioni alle conferenze erano finanziate da WP Media, l’azienda francese per la quale mi occupavo della comunicazione del plugin WP Rocket.
Ma quando ho lasciato quel ruolo per dare nuova forma alla mia vita professionale, ho iniziato ad auto-finanziare i miei interventi come relatrice ai WordCamp. Ho continuato a farlo perché la community di WordPress mi ha dato tantissimo. Per farla breve, è soprattutto grazie a lei se ho trovato nuove amicizie e clienti che mi permettono di pagare mutuo e bollette.
Partecipare come relatrice ai WordCamp, quindi, è uno dei miei modi di contribuire alla crescita e alla cura della comunità open source di WordPress. Però, da quando non lavoro più per WP Rocket, i WordCamp sono anche un costo vivo della mia attività freelance.
Questi eventi sono infatti organizzati da persone volontarie delle comunità locali di WordPress, e non prevedono una retribuzione per coloro che partecipano come relatorə (non ancora, almeno: questo è un tema che accende il dibattito anche all’interno della stessa comunità).
Ho il grande privilegio di poter continuare a contribuire come volontaria nella squadra delle traduzioni di WordPress e ad auto-finanziare la mia partecipazione ai WordCamp.
Come donna che lavora nel tech so di fare (ancora) parte di una relativa minoranza, meno rappresentata sul palco: per questo credo che esserci e parlare degli argomenti che mi stanno a cuore sia importante.
Ciò però non significa che possa farlo sempre o che sia un privilegio che uso a cuor leggero.
Quanto mi costa parlare a una conferenza?
Preparare un intervento, anche solo di mezz’ora, ha un costo che incide sulla mia organizzazione del tempo e sulle mie finanze.
Devo decidere che argomento portare sul palco, pensare a un punto di vista originale, cercare esempi pratici, attingere alle mie esperienze passate, disegnare le slide, preparare lo script del discorso, provarlo e vedere se fila, limare, sintetizzare, abbellire.
La prossima volta proverò a misurare tutto con Toggl ma, per esempio, stavolta so di aver investito sulla parte operativa almeno 45 ore. Di queste, circa 30 le ho dedicate alla preparazione delle slide, dice la cronologia delle modifiche di Google Presentazioni. Sì, tutto questo per un intervento di mezz’ora.
In più, quando la presentazione è dal vivo, devo aggiungere le ore di viaggio, il costo di treni e aerei, una o più cene, tante energie psicofisiche che dovrò recuperare al rientro.
Quanto mi costa tutto questo?
Tanto, te lo assicuro. È per questo che — WordCamp e qualche altra selezionatissima occasione a parte — non parlo a eventi che prevedono l’acquisto di un biglietto per il pubblico ma non un onorario per chi parla.
Quel tipo di eventi non sono nemmeno i casi peggiori. Puoi sempre incappare in conferenze che ti invitano come relatrice ma richiedono anche l’acquisto del biglietto di ingresso (paghi per lavorare, insomma, e no, non è per niente raro):
Le politiche di DEI si fanno (anche) sponsorizzando: l’esempio di Yoast
La diversità nel settore tech è di base un problema di potere economico, ma non si può cambiare il sistema senza cambiare il modo in cui vengono distribuiti i soldi tra le persone che dovrebbero beneficiarne. Occuparsi di diversità e inclusione richiede azioni, investimenti e rischi, dice Rob Howard di MasterWP nell’articolo WordCamp speakers need to get paid.
Per fortuna esistono aziende che stanno già investendo in questo senso. Quest’anno, per esempio, ho partecipato come relatrice al WordCamp Italia grazie a una sponsorizzazione da parte di Yoast, azienda produttrice del più popolare plugin per la SEO di WordPress.
Da qualche anno, Yoast ha istituito un fondo per favorire la partecipazione alle conferenze open source di persone sottorappresentate nel settore tech. Nel suo sito, Yoast introduce così l’iniziativa (la traduzione è mia):
«È difficile rendere una conferenza inclusiva e far sì che vi partecipi un gruppo eterogeneo di speaker. Sia le donne che altri gruppi di persone sottorappresentate tendono a parlare meno in pubblico e questo succede per i motivi più disparati. Noi di Yoast teniamo alla diversità. Ecco perché abbiamo creato il Yoast Diversity Fund.
Crediamo che incoraggiare la diversità tra speaker e partecipanti alle conferenze sia molto importante. Questi eventi sono occasioni a cui partecipiamo per imparare, ispirarci, incontrare amicizie di lunga data o prendere decisioni importanti per la nostra carriera o la nostra vita. Le persone che salgono sul palco hanno un impatto su questi aspetti mentre quelle che partecipano insieme a noi danno forma all’esperienza.»
Se anche tu lavori nel settore tech e vorresti ricevere una sponsorizzazione per parlare a una conferenza, questi sono i requisiti per candidarti allo Yoast Diversity Fund:
- Fai parte di un gruppo sottorappresentato o che si identifica come tale.
- Hai inviato una candidatura a una conferenza ed è stata accettata.
- La conferenza che ti interessa non ha fini commerciali.
- La conferenza è organizzata da una comunità Open Source come WordPress, Magento, PHP, JavaScript, TYPO3 o simili.
- L’evento si svolge nello stesso continente in cui vivi (l’obiettivo è ridurre al minimo l’impatto ecologico).
Ci si candida in questa pagina.
Se invece stai cercando conferenze in ambito tech che rimborsano le spese a relatrici e relatori, puoi dare un’occhiata alla bacheca di Diversify Tech (ottimo riferimento anche per gli annunci di lavoro).
Conosci altre realtà che sponsorizzano persone di gruppi sottorappresentati per permettere loro di partecipare a eventi e conferenze? Fammelo sapere nei commenti.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 14 novembre nella mia newsletter Ojalá.
Qui trovi l’archivio degli episodi precedenti.
Foto di copertina: Mika Baumeister per Unsplash
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