Trovare le parole giuste, in un momento di grande difficoltà globale come la pandemia che ci tiene in casa da hopersoilconto settimane, è un bel grattacapo.
Eppure la pagina bianca non è contemplata. La comunicazione sui social aziendali deve in qualche modo continuare, i blog non possono permettersi settimane di silenzio.
Continuiamo a scrivere campagne di marketing che vedranno la luce più avanti (forse), rivediamo i calendari editoriali (con l’ansia), riformuliamo le email con un tono di voce diverso.
Ho perso il conto delle volte in cui, in queste settimane, mi è stato chiesto di scrivere un’email “non troppo promozionale ma dove indichiamo comunque lo sconto, empatica ma non pedante”.
Scrivo, rileggo, mi chiedo: le parole di questa email potrebbero offendere qualcuno in questo momento?
È un continuo sforzo di empatia e inclusività.
Quando si parla di scrittura inclusiva non dobbiamo pensarla limitata alla rappresentanza di genere.
La scrittura inclusiva deve far sentire il nostro pubblico di riferimento come parte di un tutto, senza esclusioni.
Ora che una fetta enorme di popolazione mondiale si trova in una situazione destabilizzante, scrivere in modo inclusivo ed empatico è una necessità e un grande segno di rispetto.
Le parole che scegliamo—come aziende o persone che vogliono vendere un bene o un servizio—fanno la differenza.
Da lettrice attenta all’inclusività, poi, le parole che leggo oggi su siti web e social inviano segnali forti, a volte determinanti per scegliere fra il seguo e il non seguo.
Scrivere durante un’emergenza non è facile, ma il modo in cui lo facciamo dice davvero tanto alle persone che stanno dall’altra parte dello schermo.
Prendere posizione, ascoltare il nostro pubblico.
Il Cluetrain Manifesto, pubblicato nel 1999, era dedicato alle aziende che a quei tempi iniziavano a creare conversazioni nel mondo del web.
Trovo che l’articolo 23 di questo manifesto descriva bene il concetto del posizionarsi nei confronti del nostro pubblico:
Companies attempting to “position” themselves need to take a position.
Optimally, it should relate to something their market actually cares about.
Posizionarsi, non solo sui motori di ricerca, significa farsi spazio, rimanere coi piedi saldi a terra e tenere bene a mente le persone a cui ci dirigiamo. Prendere posizione è un modo per ricollegarsi ai valori importanti per noi e, di conseguenza, per chi compone il nostro mercato di riferimento.
Rispettiamo il momento che stiamo vivendo e il modo in cui, con ogni probabilità, sta impattando le persone che ci leggono.
Come scrivere in maniera inclusiva ed empatica quando tutto intorno a noi trema d’incertezza?
Io provo a mettermi nei panni di chi mi legge.
Cosa stanno passando le persone a cui mi rivolgo? Quali possono essere le loro preoccupazioni, in questo momento? Hanno dei problemi che io, come azienda o professionista, posso aiutare a risolvere?
Rispettare chi ci legge significa anche scegliere parole diverse, che inviino un messaggio empatico senza cadere nel già sentito (e nel dimenticatoio).

Potremmo anche evitare di dire bugie.
Considerando che il limite fra esprimere vicinanza e risultare ipocriti è davvero sottile, in queste settimane mi sono fatta mille paturnie prima di inviare le email e pubblicare sui social dei miei clienti.
Veder definire quella che stiamo vivendo “la nuova normalità”, per esempio, può risultare uno schiaffo per chi sta lottando per mantenere in salute un lavoro, una famiglia, persone care.

Per non parlare della fallace equazione, tanto abusata in articoli e post sui social, quarantena = tempo libero.
Magari ci stai passando anche tu, o hai persone molto vicine che sarebbero pronte a smentire seduta stante questo teorema.
Per molte persone il tempo libero è una bugia, tanto più in epoca di pandemia. Un articolo molto bello a proposito, e con un’ottica maschile sul tema della gestione casa-figli-lavoro, è quello di Andrea Romano su The Vision.
Se quindi potrebbe far gola colorare gli oggetti delle email e i post social con queste espressioni di “nuova normalità”, pensaci bene: chi ti legge potrebbe non apprezzare o, peggio, sentire di non essere parte del discorso.
Photo by Clay Banks on Unsplash
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