In questo articolo ti parlo di accessibilità web e di scrittura accessibile partendo da una mia esperienza personale datata marzo 2021. Ho pubblicato per la prima volta il testo originale nel quarto episodio della mia newsletter Ojalá.
Chi, come me, nasce su un’isola ci mette poco a capirlo: vivere e crescere in un lembo di terra staccato dal “continente” accelera il processo di realizzazione dei propri limiti. È una questione di geografia e ce lo dicono appena siamo in grado di recepire il concetto.
Sei su un’isola, il mare è il tuo primo limite.
Puoi iniziare a camminare senza meta, ma presto la terra finisce e il mare ti ferma.
Puoi allora decidere di attraversare il mare con un biglietto in mano ma devi pensarci bene: per tornare potresti dover affrontare un viaggio costoso, tortuoso, a volte proprio impossibile.
Insomma, quando cresci in Sardegna non puoi fare a meno di assorbire l’idea dell’(in)accessibilità.
Se ci si mette di mezzo anche la burocrazia, di male in peggio.
Un modulo obbligatorio ma poco accessibile
Viaggiare dalla Spagna verso la Sardegna tra il 2020 e il 2021 è stato piuttosto complicato, ma per motivi familiari ho avuto bisogno di farlo.
I voli diretti erano bloccati e il mare si poteva attraversare solo due volte alla settimana via traghetto. E poi c’era il tampone da fare 48 ora prima di partire, una serie di documenti da compilare e stampare, la registrazione obbligatoria su un’app regionale che a volte funzionava e a volte no.
Al posto dell’app avevo deciso di usare il modulo equivalente nella pagina web della Regione Sardegna dedicata alla campagna Sardegna Sicura.
Tra i dati da inserire c’era anche l’autocertificazione relativa all’esecuzione del tampone, che io avevo fatto 24 ore prima della partenza. L’autocertificazione presentava queste quattro opzioni:
- Presenterò, all’atto dello sbarco, l’esito di un test molecolare o antigenico, eseguito non oltre le 48 ore dalla partenza, che abbia dato esito negativo per covid-19.
- Ho effettuato test con esito negativo 48 ore prima dell’arrivo in Sardegna.
- Sono un soggetto non vaccinato e non ho eseguito il tampone prima dell’arrivo in Sardegna.
- Mi è stato somministrato il vaccino in duplice dose.
Quando mi sono trovata di fronte a queste opzioni ho tentennato; ero molto in ansia, di certo non al massimo della mia lucidità. E proprio per questo, prima di selezionare la risposta, ho letto e riletto varie volte.
Ho scartato la terza e la quarta opzione perché non era ancora vaccinata e avevo già eseguito il tampone 24 prima della partenza della nave.
Mi rimanevano la prima e la seconda opzione, ma mi ci era voluto un po’ per capire la differenza tra le due (e ancora adesso non sono sicura di esserci riuscita).
Selezionando la prima opzione dichiaravo di poter presentare, all’atto dello sbarco in Sardegna, un test eseguito “non oltre le 48 ore dalla partenza”.
48 ore prima della partenza? O 48 ore calcolate dal momento della partenza? Ma mica si possono fare i tamponi una volta che il viaggio è iniziato… 🤯
Selezionando la seconda opzione, invece, dichiaravo di aver effettuato un test “48 ore prima dell’arrivo in Sardegna”, senza alcuna indicazione del contesto in cui lo avrei presentato.
Onestamente, per me la prima e la seconda opzione suonavano uguali, entrambe mal scritte ma potenzialmente adatte per descrivere la mia situazione.
A naso, ho selezionato la prima risposta. Allo sbarco nessunə mi ha detto nulla, quindi suppongono sia stata la scelta corretta. 🤷🏻♀️
Un’esperienza frustrante potenziata da un linguaggio poco accessibile.
Lavorando con la scrittura inclusiva, parlare di accessibilità mi viene quasi spontaneo.
Non è più una questione solo geografica ma anche un modo di vivere e lavorare sul web.
Cosa si intende per accessibilità web?
L’accessibilità web è l’insieme di tecnologie e pratiche che assicura a qualunque persona di poter navigare su internet senza barriere.
Sul web potresti vederla girare anche con il nome inglese accessibility e con l’acronimo a11y (perché ci sono 11 caratteri tra la a iniziale e la y finale).
L’accessibilità web è la pratica grazie a cui ricordiamo di verificare se i contenuti digitali che produciamo sono accessibili a chiunque.
Un contenuto digitale è accessibile quando è fruibile a prescindere dalle competenze digitali, dalle condizioni fisiche, dal grado di alfabetizzazione, dal linguaggio o dalle sfide cognitive delle persone che lo usano.
Si parla di accessibilità web soprattutto in relazione alle condizioni di disabilità, ma la portata del discorso è molto più ampia.
Le linee guida sul design inclusivo di Microsoft spiegano bene perché e in che modo si possono creare esperienze digitali accessibili per chiunque.
In queste linee guida, Microsoft usa un concetto molto potente, “Solve for one, extend to many”: lavorare a soluzioni tecnologiche per una persona con determinate necessità significa rispondere a necessità universali, estensibili poi a migliaia di altre persone.
Perché le condizioni che viviamo a livello fisico e cognitivo non rimangono mai le stesse per sempre. È il concetto del Persona Spectrum: in qualsiasi momento della nostra vita possiamo sperimentare una disabilità, sia essa permanente o temporanea, o una limitazione delle nostre capacità legata a una situazione specifica.
Eccone una rappresentazione:
Questo discorso funziona per i prodotti digitali ma, se ci pensi bene, anche per le parole che scriviamo o pronunciamo.
Quando scegliamo il linguaggio inclusivo, stiamo supportando le istanze di gruppi di persone marginalizzate e aiutando potenzialmente migliaia di altri individui a fare altrettanto, in una catena virtuosa fondata sul diritto di esistere.
Ecco perché accessibilità e inclusione vanno a braccetto
Una situazione come quella che ti ho descritto sopra a proposito dell’autodichiarazione per la Regione Sardegna, non è inclusiva perché usa un linguaggio arzigogolato, non immediato, poco accessibile.
Genera ansia e paura di sbagliare in un momento delicato in cui, come utente che si prepara a un viaggio per motivi familiari durante un’epoca di pandemia, sono già ansiosa di mio.
E se anche non fossi ansiosa per il viaggio, potrei essere una persona poco avvezza a compilare moduli online, una persona con problemi alla vista o con una qualche difficoltà cognitiva o linguistica che rende questa esperienza digitale decisamente frustrante.
Come scrivono Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi in “Emotion Driven Design. Progettare contenuti per interfacce in sintonia con le persone” (Apogeo Editore):
«Sperare che gli utenti capiscano quello che non spieghiamo è sperare in una somiglianza sociale e culturale che è di per sé una barriera d’ingresso.
L’unica garanzia che ci dà la lingua disonesta è che gli utenti che avranno superato la barriera somiglino al nostro team.
Restando solo in Italia e solo nel digitale, la lingua disonesta domina nei siti web della Pubblica Amministrazione, che ha però il compito di rappresentare e offrire servizi a tutti i cittadini.»
Foto di copertina: Peter Fogden su Unsplash
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