Scrivere in modo inclusivo non sempre basta. Anche le immagini che accompagnano i nostri contenuti dovrebbero basarsi sugli stessi valori di inclusione e rispetto delle differenze che promuoviamo a parole.
Perché? Riadattando ciò che ho scritto tempo fa a proposito del linguaggio inclusivo:
Ciò che non rappresentiamo non esiste.
Ciò che rappresentiamo male, rimane incastrato tra le grate del pregiudizio.
Anche le immagini, dunque, parlano. Comunicano rispetto e considerazione per le persone, per le loro esperienze individuali e per le loro differenze.
Però dove possiamo trovare questo tipo di immagini, se non abbiamo possibilità di crearle da noi?
Il web ci viene in aiuto. Piano piano stanno nascendo siti web di immagini stock, sia gratuite che royalty free, che rappresentano la diversità umana a tutto tondo.
In questo articolo ti indico i siti web in cui scaricare foto di stock capaci di rendere i contenuti più inclusivi, diversi e rappresentativi della realtà.
Perché cercare foto di stock più inclusive per i nostri contenuti: qualche dato.
Scegliere immagini che non rispettano le diverse identità, culture, tonalità della pelle e forme che il corpo umano può assumere, rischia di mandare un messaggio molto chiaro: il rifiuto inconscio di specifici gruppi di persone.
Un rifiuto che può avere ricadute serie anche sugli affari e sulla reputazione di un brand.
Ecco qualche numero per allargare il contesto:
- Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale, il 15% della popolazione mondiale (cioè più di 1 miliardo) sperimenta una qualche forma di disabilità. Di queste, solo 1 persona su 10 ha accesso ai prodotti e servizi che permettono loro di vivere una vita indipendente, produttiva e dignitosa.
A livello globale, le attività di marketing rivolte alle persone disabili, alle loro famiglie e amicizie più strette, raggiungerebbero oltre 3 miliardi di potenziali clienti: tutte queste persone controllano un reddito annuo disponibile incrementale di circa 13 trilioni di dollari.
- Secondo una ricerca del 2017 condotta da GLAAD negli Stati Uniti, il 20% della popolazione Millennial (18-34 anni) si identifica come LGBTQ+. E il 63% dei Millennial non-LGBTQ+ si definiscono comunque alleati della comunità LGBTQ.
- Secondo uno studio di giugno 2020 condotto da Microsoft Advertising, un annuncio pubblicitario inclusivo porta a un aumento di 23 punti nell’intento di acquisto, indipendentemente dal fatto che la persona che ha visto l’annuncio fosse o meno rappresentata sullo schermo.
Già questi numeri ci fanno capire come rappresentare e comunicare la diversità abbia un ritorno non solo in termini di benessere sociale ma anche economico.
Dove trovare foto di stock inclusive e rappresentative della diversità umana
Corredare i nostri contenuti di immagini inclusive, che rappresentino la diversità del nostro pubblico di riferimento, non sempre è facile.
A meno che non lavoriamo in una grande azienda con un folto team creativo a nostra disposizione, difficilmente riusciremo ad accedere ad archivi fotografici creati ad hoc per i nostri contenuti.
(E ora, concedimelo, la frecciatina va a quelle grandi aziende che investono migliaia euro in campagne marketing con grandi effetti speciali ma poca, pochissima rappresentazione e diversità).
Ed è qui che entrano in scena le foto di stock.
Il problema dei classici siti di foto di stock
Le foto di stock, nella maggior parte dei casi, non vanno al di là di quello che il loro nome preannuncia: sono foto scattate in serie, spesso banali e stereotipate.
Non sai quante volte ho scartabellato i risultati di Google sperando di trovare foto con licenza Creative Commons che rappresentassero persone con diversi colori di pelle o persone con disabilità senza cadere in stereotipi razzisti o abilisti.
Spulciare i più famosi siti di foto di stock gratuite, come Pexels, Unsplash o Pixabay, alla ricerca di immagini diverse e non stereotipate è quasi un terno al lotto.
Qualche esempio?
Quando scrivo contenuti per aziende del settore tech e mi capita di cercare immagini che richiamino il mondo delle startup, dell’informatica o del design, di solito mi trovo di fronte a scenari del genere:
Per non parlare della ricerca di immagini per una più generica parola chiave “business”:
Eccole. Persone quasi sempre bianche, soprattutto uomini, senza alcuna disabilità, che siedono di fronte ai loro Mac in uffici immacolati o si aggiustano cravatte, sfoggiando eleganti orologi da polso: lo stereotipo della vita d’impresa è servito.
Ma dove sono tutte le altre persone?
Le persone con disabilità, le persone afrodiscendenti, quelle di origine asiatica, sudamericana, gli uomini e le donne trans, o le persone vestite con uno stile meno… cliché?
Perché le foto di stock non rappresentano la realtà intersezionale delle nostre vite, dove la diversità tra le persone è palpabile, concreta, sotto i nostri occhi? Una realtà in cui le nostre pelli, i nostri capelli, i nostri tatuaggi o i nostri vestiti sono diversi ed eterogenei?
Come possiamo scrivere contenuti davvero più inclusivi se poi non li accompagniamo con immagini che sfuggano agli stereotipi?
Ecco, visto che spesso le immagini dei siti di foto di stock possono reiterare stereotipi di genere, abilisti o razzisti, vanno scelte con molta, molta, cautela.
Per farlo, bisogna anche conoscere i siti giusti in cui cercarle.
Siti web da cui scaricare foto di stock più inclusive
Questa è una lista di siti che offrono archivi di immagini stock diverse dai soliti cliché, ma molto più rappresentative del mondo intorno a noi.
Ho incluso per primi i siti che offrono immagini con licenza Creative Commons, quindi utilizzabili gratuitamente con attribuzione. Trovi poi alcuni siti freemium, con una collezione gratuita ridotta, e un sito a pagamento.
Mi piacerebbe allungare la lista il più possibile, quindi spero di poterla integrare con nuovi nomi al più presto (e se conosci altri siti che varrebbe la pena citare qui, fammelo sapere!):
1. Disabled and here (gratis)
Disabled and here è un progetto fotografico e di reportage che rappresenta persone disabili nere, indigene e di diverse etnie (BIPOC) che vivono nel Nord-ovest Pacifico. Oltre a vederle nelle loro attività quotidiane, possiamo conoscerne le storie grazie alla sezione delle interviste.
Lo scopo di Disabled and here è quello di uscire dalle rappresentazioni mediatiche della disabilità che tendono a essere unidimensionali, spesso concentrate su bambini e persone anziane, e impregnate di pietismo o apologia dell’ispirazione.
Ogni foto è accompagnata anche da qualche riga sulle buone pratiche di utilizzo delle immagini (la traduzione è mia):
«Vi chiediamo di usare queste fotografie con premura. Quando scrivete le didascalie alle foto, preferiamo un linguaggio identity-first (es. “persona disabile”), piuttosto che person-first (es. “persona con disabilità”).»
2. The Gender Spectrum Collection (gratis)
The Gender Spectrum Collection è una libreria di foto stock creata da Vice Media che rappresenta persone trans e non binarie, superando i cliché che pesano su di loro.
La collezione mira ad aiutare i media a rappresentare meglio chi fa parte di queste comunità come persone non per forza definite dalle loro identità di genere: persone con una carriera, relazioni, talenti, passioni, impegnate nelle loro vite quotidiane.
Le linee guida scritte dal team di Vice descrivono anche come usare le immagini per sfuggire ai soliti cliché (la traduzione è mia):
«Le immagini di persone trans e non binarie possono essere usate per illustrare qualsiasi argomento, non solo storie legate direttamente a quelle comunità. Ricorrete a queste foto anche per trattare tematiche come la bellezza, il lavoro, l’educazione, le relazioni o il benessere. L’inclusione di persone transgender e non-binarie in storie che non riguardano esplicitamente l’identità di genere rappresenta in modo più accurato il mondo in cui viviamo oggi.»
3. nappy (gratis)
nappy è un progetto nato dalle menti del team di Shade, un’agenzia di influencer marketing che mette in contatto brand e aziende con creator BIPOC.
Le foto hanno tutte licenza Creative Commons e sono distribuite gratuitamente anche su siti di foto stock come Unsplash e Pexels. Gli scatti rappresentano persone nere alla prese con varie attività quotidiane e sono organizzati per temi tra cui: cibo, persone, luoghi, viaggi e lavoro.
Il team di nappy descrive così l’impulso che ha portato al lancio del progetto (la traduzione è mia):
«Digitando la parola “caffè” su Unsplash, raramente compare una tazza di caffè tenuta da mani di persone nere. Lo stesso succede digitando termini come “computer” o “viaggio”. Magari si trovano un’immagine o due, ma sono piuttosto rare. Eppure anche le persone nere bevono il caffè, usano il computer, e di certo amano viaggiare.»
4. CreateHER (freemium)
CreateHER è la piattaforma di foto di stock freemium creata da Neosha Gardner nel 2015. La libreria fotografica si concentra sulla rappresentazione di donne nere in diversi contesti, dalla vita in ufficio allo sport, dalla moda alle relazioni.
Nella pagina introduttiva del progetto, Neosha Gardner ricorda di aver sentito il bisogno di creare un archivio di foto stock di donne nere perché si era resa conto di vedere pochissime persone come lei in giro per il web.
Quasi tutte le foto di CreateHER sono a pagamento, ma il sito mette a disposizione un link per scaricare un archivio di foto stock gratis: ce ne sono più di 180.
5. TONL (a pagamento)
TONL è una libreria di foto stock a pagamento che vuole trasformare l’idea della fotografia di stock mostrando immagini di persone e storie diverse per provenienza, cultura ed etnia.
Gli archivi di TONL sono molto ricchi e categorizzati in tantissime sezioni diverse: viaggi, famiglie, infanzia, tradizioni, moda o vita di tutti i giorni. Il menu del sito permette, per ogni categoria, di selezionare le foto di modelle e modelli appartenenti a background etnici diversi.
Una parte del sito di TONL è dedicata alle narrative dietro le immagini: le persone protagoniste delle foto raccontano il contesto, chi sono e in che modo rappresentano la loro comunità.
C’è per esempio un articolo molto bello, Dismantling Stereotypes of Indigenous People, scritto Jenjira Milan, fotografa di origine nativa americana, che dice (la traduzione è mia):
«Mentre le immagini dei media ci limitano a caratterizzazioni false e superate, in realtà noi [ndt. persone native del Nordamerica] siamo mediche, assistenti sociali, educatrici e molto altro. Lavoriamo, viviamo e giochiamo in città degli Stati Uniti che sono la nostra patria ancestrale. Le nostre storie dovrebbero riflettere chi siamo veramente e riconoscere i nostri punti di forza e la resistenza a cui siamo state capaci di attingere per superare le sfide sociali e politiche.»
6. Body Liberation Photos (a pagamento)
Body Liberation Photos è il progetto di Lindley Ashline, fotografa statunitense e attivista per la fat acceptance.
I suoi scatti rappresentano soprattutto persone che si identificano come grasse o plus-size, persone BIPOC e/o membri della comunità LGBTQIAP+.
Nella sua newsletter, Lindley Ashline descrive così il suo lavoro:
«Fotografo e parlo delle persone grasse perché la loro rappresentazione è vitale per ottenere la liberazione del corpo grasso. I miei principi ruotano intorno alla positività del corpo, all’accettazione dei corpi grassi, del movimento Health at Every Size (HAES), dell’alimentazione intuitiva e della liberazione del corpo di ogni essere umano su questo pianeta.»
La foto di copertina di questo articolo viene proprio dalla libreria di foto stock premium di Body Liberation Photo. 🙂
7. WOCinTech Chat (gratis)
WOCinTech Chat è un progetto statunitense, un archivio di foto di donne BIPOC che lavorano in ambito tech, ritratte in situazioni quotidiane di vita professionale.
L’archivio originale di tutte le immagini del progetto si trova su Flickr, ma puoi trovarle categorizzate per parole chiave anche su Unsplash, Pexels, Buffer. Tutte le foto sono scaricabili liberamente e hanno licenza Creative Commons Attribution.
Il blog WOCinTech Chat spiega come è nato il progetto e quali sono le aspettative del team a riguardo:
«La nostra richiesta? Che usiate queste foto per mostrare una rappresentazione diversa di tutte le donne nella tech. Che usiate queste immagini in articoli che parlano di imprenditoria, di ingegneria del software, di professionisti della sicurezza delle informazioni, di analisti IT, di marketer, e delle altre persone che compongono l’ecosistema tecnologico.
Proprio come le donne bianche sono state “la donna” di default nella tecnologia e nella società statunitense nel suo complesso, crediamo che la definizione di ciò che significa – e che può significare – lavorare nel tech nel 21° secolo possa beneficiare di questo cambio di paradigma.»
Conosci altri siti web che distribuiscono foto di stock inclusive e rispettose della diversità?
Segnalale pure nei commenti e le aggiungerò alla lista: grazie!
Eleonora dice
Bellissime foto, e bellissimo messaggio
Grazie per lo splendido lavoro che hai fatto.
Alice dice
Grazie, Eleonora!
Cecilia Nesti dice
Grazie Alice. Tutto molto interessante e anche piuttosto originale. Un modo un po’ diverso di guardare al mondo della disabilità e di tutto quello che è diverso dagli stereotipi.
Complimenti per l’articolo completo ma anche semplice da leggere per tutti.
Alice dice
Grazie Cecilia 🙂 Credo sia importante guardare con nuove lenti il mondo che ci circonda per liberarlo dagli stereotipi.
Danilo dice
Brava, argomento giusto da trattare che nella frenesia dei nostri lavori digitali si tralascia o per lo meno io ho tralasciato perchè facente parte della comunità di eletti quindi è una problematica che non mi tocca direttamente. Ho letto tutto quanto hai scritto e mi capita non spesso…questo perchè mi hai incuriosito nel discorso che volevi portare avanti.
Adoro: Eppure anche le persone nere bevono il caffè, usano il computer, e di certo amano viaggiare. “Chapeau”!
Alice dice
Grazie Danilo. Non userei il termine “eletti”, ma di sicuro è importante renderci conto di quanto il nostro privilegio di persone nate (per puro caso!) abili e con la pelle bianca offuschi il nostro giudizio e la nostra considerazione di una bella fetta di realtà.
Serena dice
Ciao Alice, grazie per aver condiviso queste risorse e in generale per aver affrontato questa tematica. Mi ha colpito molto la linea guida di Disabled and here, che consiglia il linguaggio identity-first (persona disabile) rispetto al person-first (persona con disabilità). In Italia mi sono trovata nella situazione esattamente opposta: mi è stato consigliato di usare l’espressione “persona con diabete” anziché “persona diabetica”, sia da diabetologi che da persone che vivono questa condizione, per evitare che sia quella a definire la persona. Preciso che non si trattava di un contesto lavorativo o di descrizione di immagini, ma di situazioni di vita reale, di dialogo e percorsi di medicina narrativa tra persone coinvolte a vario titolo dal tema diabete: diabetologi, pazienti, familiari dei pazienti. Sai dirmi di più? Grazie!
Alice dice
Ciao Serena, grazie per il tuo messaggio.
Il tema del linguaggio person-first vs identity-first merita un approfondimento tutto suo, spero di pubblicare presto un articolo a riguardo.
Quello che posso dirti in poche righe è che nessuno dei due approcci è sbagliato; la priorità va data a quello che le persone interessate vogliono usare per sé. L’esempio del collettivo Disabled and here è emblematico: loro preferiscono definirsi con il linguaggio identity-first per dare risalto alla loro identità di persone disabili nel contesto del progetto fotografico (e presumbilmente anche nella loro vita personale, ma non possiamo dedurlo con estrema certezza). Questa scelta non è anomala, anzi, è sempre più frequente e di sicuro scardina alcuni dei tabù innati che ci portano a edulcorare il linguaggio legato alla disabilità, pensando che così risulti meno offensivo. Per tornare alla tua esperienza, se le persone con diabete che hai conosciuto hanno scelto un linguaggio person-first, significa che quello è il modo in cui preferiscono parlare di sé e includere la loro condizione. Non è detto che questo valga per tutte le persone con diabete in Italia, onestamente non conosco a fondo il tema per poterlo confermare: però, come sempre quando ascoltiamo le persone parlare della propria identità, possiamo solo prenderne atto e rispettare la definizione che hanno scelto per se stesse.
Lascio qui il link a un articolo sul tema scritto da Sofia Righetti e Marina Cuollo: https://www.bossy.it/abilismo-linguaggio-termini-disabilita.html
Serena dice
Grazie a te Alice per la risposta e per l’articolo che hai linkato. Realizzo solo ora che non c’è una regola che vada bene per tutte le situazioni, piuttosto una direzione, una finalità, in base alla quale un’espressione è più appropriata di altre; non l’avevo mai ragionata così. Spunti di riflessione super interessanti!
Alice dice
Grazie! Aggiungo una cosa che nel precedente commento ho omesso: quando siamo noi a dover scrivere dei testi per parlare di un determinato gruppo di persone, è preferibile usare il person-first (come d’altronde faccio anche io nel mio blog, per esempio). A seconda dei casi, poi, possiamo passare all’identity-first se ci riferiamo a un collettivo che preferisce usare quell’approccio al linguaggio. 🙂