Di quando la visione in versione originale di una sit-com della mia infanzia, La Tata, ha portato a galla innumerevoli considerazioni sulla potenza della transcreation (sì, nonostante fossi in vacanza e stessi solo cercando di rilassarmi).
Se dovessi elencare i lati positivi di queste peculiari ferie natalizie 2020, includerei senza pensarci un attimo la visione di serie tv “spegni cervello”. Senza appuntamenti familiari né impegni di lavoro (che ho volutamente messo in stand-by), mi sono divertita a recuperare quelle serie che, anche con un solo frammento di immagine, sono capaci di riportarmi alla spensieratezza della mia infanzia di bambina degli anni ’90.
Con questa disposizione d’animo, mi sono ritrovata a guardare “The Nanny“, la sit-com statunitense creata, prodotta e scritta da Fran Drescher. In Italia fu trasmessa tra il 1995 e il 2000 con il nome di “La Tata”.
Perché, da traduttrice, mi sono appassionata a La Tata
Guardare “La Tata” in versione originale, 25 anni (oh my god) dopo il suo primo passaggio nella tv italiana, è stato un vero colpo di fulmine: per quanto diversi episodi suonassero familiari, mi sono ritrovata di fronte a una scrittura molto più divertente della sua edulcorata versione italiana.
(Anche se mi vengono un po’ di brividi di fronte a molti dei suoi stereotipi sessisti e grassofobici).
È vero che quando La Tata arrivò in Italia io avevo solo 12 anni, e probabilmente non ero pronta a cogliere tutti i sottintesi dei suoi dialoghi.
La versione originale, però, rivela tutto un mondo di riferimenti culturali, giravolte semantiche e battute brillanti che mi hanno tenuta incollata alla prima stagione come se fosse la prima volta che la vedevo (ve l’ho detto che avevo bisogno di un prodotto “spegni cervello”!).
Nonostante il mio bisogno di relax, la mia anima da nerd delle lingue e transcreator ha avuto il sopravvento.
Già dalla prima puntata ho iniziato ad affiancare la visione della serie in lingua originale con frammenti della sua trasposizione italiana.
Ogni volta che ho riso a una delle battute di Fran Fine (il nome originale di Tata Francesca) mi sono anche chiesta: “Chissà come avranno reso questo scambio nella versione italiana?“.
In ambito audiovisivo, la transcreation viene più comunemente chiamata adattamento.
Secondo Vinay e Darbelnet (1958) nella Routledge Encyclopedia of Translation Studies l’adattamento può definirsi così (la traduzione è mia):
L’adattamento è la procedura utilizzabile ogni volta che il contesto a cui si fa riferimento nel testo originale non esiste nella cultura del testo tradotto, e per questo necessita di una qualche forma di ri-creazione.
Più avanti ho inserito degli esempi pratici, prima però riassumiamo il contesto che fa da sfondo a questa serie tv e come si collega alla transcreation.
D’altronde non posso dare per scontato che chiunque passi di qui sia millennial della prima ora che cresceva a suon di girelle e Italia1!
Adattare è un po’ morire: la vera storia de La Tata
Ok, non voglio metterla sul tragico, però è innegabile: adattare un prodotto audiovisivo per un pubblico diverso da quello per cui era stato originariamente pensato significa far morire parte della storia originale.
L’adattamento de La Tata ne è un esempio perfetto, vero e proprio caso studio che è stato anche oggetto di tesi di laurea.
Fran Drescher ha scritto The Nanny condendolo con molti suoi dettagli autobiografici ma anche con una marea di riferimenti alla cultura ebraica a New York. Riferimenti che un pubblico italiano non avrebbe colto (e qui potremmo aprire il dibattito sul perché scegliere di non spiegare certe usanze anche a un pubblico che non le conosce…).
La storia originale
Il personaggio di Fran Fine, la tata, è una donna trentenne proveniente da una famiglia ebrea di Flushing, nel Queens.
La sua famiglia è composta dalla madre Sylvia, il padre Morty (di cui conosciamo solo il parrucchino), la nonna Yetta e una pletora di parenti vicini e lontani che vengono introdotti nel corso delle puntate in modalità random.
Fran ha una voce squillante e nasale, i lunghi capelli cotonati e un guardaroba appariscente costellato di minigonne e scarpe tacco 12: ha lavorato come modella di piedi, venditrice di abiti da sposa low-cost e di cosmetici porta-a-porta.
Sua madre Sylvia, rumorosa e invadente come lo stereotipo della madre ebrea impone, non vede l’ora di maritare la figlia con un uomo ebreo.
Il fatto che Fran trovi lavoro come tata nella famiglia di Maxwell Sheffield—britannico, altolocato produttore di Broadway e padre di tre figli—dà il via a innumerevoli gag sostenute dall’incontro tra le culture così diverse delle due famiglie.
La storia italiana
L’adattamento di The Nanny per il pubblico italiano ha comportato la riscrittura di buona parte del contesto in cui si svolge la storia di Fran e del suo lavoro nella famiglia Sheffield.
Per l’Italia, Fran diventa Francesca Cacace, trentenne di Frosinone emigrata a New York e ospite dei suoi zii, Assunta Quagliarolo e Antonio Cacace.
I riferimenti alla cultura ebraica spariscono per essere sostituiti con quelli italiani. Le puntate de La Tata incedono a suon di espressioni dialettali, citazioni dello show-business nostrano, modi di fare che fanno subito pensare alla famiglia di Francesca come a una stereotipata famiglia del sud Italia (scelta molto comune nella produzione televisiva italiana, come racconta anche Chiara Francesca Ferrari nel suo libro Since When Is Fran Drescher Jewish?: Dubbing Stereotypes in The Nanny, The Simpsons, and The Sopranos).
Con queste premesse, l’immedesimazione del pubblico è assicurata e il successo che la sit-com ebbe a suo tempo lo dimostra.
Qual è il problema?
L’adattamento italiano è intervenuto pesantemente nella scrittura originale, cambiando una grossa fetta di storia. Sconvolge prima di tutto le relazioni parentali nella vita di Francesca e la cultura in cui i personaggi della serie si muovono.
L’intervento, pur nella sua invadenza, riesce perché molti degli stereotipi sulle famiglie ebree a New York sono sovrapponibili a quelli delle famiglie del sud Italia emigrate negli USA.
Ciò non toglie che guardare The Nanny in lingua originale e La Tata in italiano siano due esperienze diverse, quasi due mondi paralleli visualmente identici ma che prendono cammini distinti in molti punti della storia.
Vedendo le puntate prima in inglese e poi in italiano, si nota subito come certe battute siano state completamente cancellate a favore di un umorismo più “italico” ma per forza meno brillante dell’originale.
In altre situazioni, poi, il fatto che Francesca sia italiana cozza in maniera prepotente con l’ambientazione della storia.
Riti e simboli della cultura ebraica compaiono spesso nelle puntate: le celebrazioni di Hanukkah o il Bar Mitzvah così come le danze tipiche dei matrimoni ebraici passano sullo schermo senza possibilità di una traduzione pertinente, visto che Francesca viene da una famiglia cristiana del sud Italia.
Lo definirei un lavoro di transcreation che è quasi una performance artistica con tripli e quadrupli salti carpiati!
Un esempio lampante dell’incredibile ma pesante lavoro di adattamento italiano è la puntata 24 della terza serie “L’unto del Signore si può smacchiare?“.
Parte della storia è ambientata in una sinagoga, dove Fran e sua madre si recano per conoscere il nuovo cantore, single e buon partito.
Lo scambio di battute tra Fran e il cantore (che in italiano diventa inspiegabilmente un rabbino), o tra Sylvia e altre donne che vorrebbero maritare le figlie, si basa proprio sul culto ebraico e sulle relazioni di vicinato tra le donne che frequentano lo stesso tempio.
In italiano tutte queste battute sono state completamente rimosse e sostituite con una narrazione parallela che coinvolge altri familiari delle donne come una fantomatica cugina Susan. La presenza di Fran e sua madre a una liturgia ebraica del venerdì risulta alla fine piuttosto campata per aria.
Esempi di transcreation: The Nanny vs. La Tata
Ora la parte più divertente!
Ecco alcuni degli esempi di transcreation che mi hanno fatto drizzare le antenne.
La transcreation è uno strumento potente e indispensabile per creare una connessione con il pubblico di riferimento. Come però avrai capito leggendo, questo lavoro a volte impone anche rinunce o stravolgimenti importanti del testo e delle storie.
Credo che “La Tata”, più che da ispirazione, serva a dimostrare quanto è complesso il lavoro di adattamento di un testo per un pubblico internazionale.
La brillantezza della versione originale inevitabilmente si perde quando vengono a mancare i riferimenti culturali che la sostengono.
Il cane Duke
Episodio 17×1: “Un matrimonio impossibile“.
Jocelyn, la sorella del signor Sheffield, ha deciso di sposare il fidanzato, duca di Chateaubriand (Duke of Salisbury nell’originale). Francesca, entusiasta per la notizia, afferra il telefono per dirlo subito a zia Assunta:
«È una cosa così eccitante, lo dico subito a mia zia. Non avevamo mai avuto un duca in famiglia, prima d’ora. Beh, avevamo un cane che si chiamava Duca, ma è diverso.»
La battuta in inglese, invece, suona così:
«Oh, this is so exciting, I gotta call my mother. We have never had a duke in the family before. Well, we did once but we had to have him put to sleep.»
Qui si gioca sul fatto che Duke, oltre a un titolo nobiliare, sia anche un nome “per cani” molto comune negli Stati Uniti. Nella versione originale, Fran fa intendere che Duke era il nome di uno suo cane, morto con eutanasia (“messo a dormire”, traducendo letteralmente le parole di Fran).
La battuta quindi suonerebbe così:
«Non avevamo mai avuto un duca in famiglia, prima d’ora. Beh, ne abbiamo avuto uno in passato ma l’abbiamo dovuto sopprimere.»
In italiano, visto che Duca non è un nome particolarmente usato per i cani, la battuta originale di Fran avrebbe certamente portato a fraintendimenti!
La signorina Fine sta bene
Episodio 15×1: “Passione e tonsille“.
Francesca viene ricoverata per un’operazione alle tonsille. La famiglia del signor Sheffield, che l’ha accompagnata in ospedale, la saluta alla fine dell’orario delle visite. Grace, la figlia più piccola, sale sul letto di Fran per regalarle un orso di peluche con cui dormire:
Gracie: «Non muori, vero?»
Francesca: «No, non ci penso nemmeno!»
Gracie: «Brava.»
Francesca: «Su, andrà tutto bene e ora con Teddy mi faccio un bel sonno.»
La versione originale gioca invece sul cognome di Fran, Fine, che in inglese significa anche “bene” ed è la classica risposta alla domanda “Come stai?”. I’m fine!
Ecco che lo scambio tra Grace e Fran assume allora un’altra sfumatura di significato:
Grace: «You gonna be ok?» (Te la caverai?)
Fran: «Hey, what’s my last name?» (Hey, qual è il mio cognome?)
Grace: «Fine.» (Fine)
Fran: «So, I’ll be fine! And I’ll take good care of Teddy, too.» (E allora starò bene! E mi prenderò cura anche di Teddy.)
Anche se il gioco di parole non poteva reggere in italiano, il dialogo tra Francesca e Gracie non perde in tenerezza.
Dio mio, dio degli ebrei, dio dei musulmani
Episodio 23×3: “L’unto del Signore si può smacchiare?“.
Dopo una settimana di sfortune e piaghe simil-bibliche, Francesca e zia Assunta si recano al tempio ebraico perché temono che “il dio degli ebrei” sia arrabbiato con loro. Alla fine dell’episodio, la scena:
Zia Assunta: «Cristiano, ebreo o musulmano…un dio è sempre meglio rispettarlo.»
Francesca: «E allora avanti zia, preghiamoli tutti.»
Entrambe, pregando: «Dio mio, dio degli ebrei e anche dio dei musulmani, aiuta me, aiuta lei, siamo nelle tue mani!»
Nella versione originale, Fran e Sylvia tornano al tempio per la liturgia settimanale. Tutti gli occhi sono puntati su di loro perché Gary, il cantore, ha lasciato la religione per diventare cantante di musical a Broadway (il signor Sheffield lo voleva contrattare in un suo musical).
La battuta che vede le due donne pregare a fine episodio si svolge così:
Sylvia: «Darling, I’m so glad that we’re back on His good side.» (Tesoro, sono così felice che siamo tornati nelle Sue grazie.)
Fran: «So am I, Ma. Let’s pray.» (Anche io, Ma. Ora preghiamo.)
Le loro voci si sovrappongono.
Mentre Sylvia recita: «Find her a doctor! Find her a doctor!» (Trovale un dottore! Trovale un dottore!)
Fran dice: «Find me a doctor! Find me a doctor!» (Trovami un dottore! Trovami un dottore!)
La battuta originale quindi scherza sul topico portante della serie, cioè che sia Fran che Sylvia sognano un matrimonio con un uomo benestante.
La versione italiana cancella completamente questo riferimento, dovendo riarrangiare il fatto che la loro fede non è ebraica ma cristiana.
Per concludere
Se anche tu, a suo tempo, seguivi la serie tv La Tata e ora stai pensando che non avevi mai notato questi dettagli (anche se certe stranezze nella serie ti stonavano), significa che il lavoro di transcreation dietro questo prodotto ha tutto sommato raggiunto il suo scopo.
Certo, conoscendo i retroscena della serie e potendola confrontare con la versione originale, i salti carpiati delle persone che si sono occupate dell’adattamento diventano molto evidenti (e a volte finiscono con bei capitomboli!).
Con questa analisi, però, volevo mostrare un’applicazione pratica del lavoro di transcreation che non è mai solo una traduzione. Transcreare, adattare un testo e renderlo comprensibile (e vendibile!) ad altre cultura è un lavoro che ha a che fare con le parole ma anche con un enorme lavoro di analisi trans-culturale.
Niente può essere lasciato al caso, pena l’incoerenza e la difficoltà di ricezione da parte del pubblico di destinazione.
Orietta dice
Che meraviglia! Io millennial della prima ora come te ero appassionatissima di Francesca. Un’amica mi disse delle differenze con la serie originale per via di religione e parentele, devo dire che nonostante questo ho trovato sempre le puntate coerenti. Immagino che rivederle oggi affiancate alla versione originale starei tutto il tempo a dire “ma dai!!”
Alice dice
È un esperimento divertente, Orietta, se hai un po’ di tempo libero te lo consiglio: si scoprono un sacco di cose! 😀
Caterina dice
Mi hai fatto venire una gran voglia di andarmi a riguardare tutte le puntate in lingua originale. La adoravo. Quest’analisi è molto interessante e mi ha permesso di capire quanto complesso sia il lavoro di adattamento. È un aspetto su cui non mi soffermo mai a riflettere. Tra l’altro non sapevo che si chiamasse “transcreation” e non sapevo nemmeno di tutti i salti carpiati fatti per renderla accessibile al pubblico italiano. Ero solo al corrente del fatto che Silvia non fosse la zia nella versione originale. Un po’ mi dispiace che i riferimenti culturali siano stati modificati. Non sarebbe più utile mantenerli per esporre e così abituare (e arricchire, anche) chi guarda una serie TV a contesti culturali lontani dal proprio?
P.S. Felice di seguirti anche qui. 🙂
Alice dice
Grazie, Caterina, che bello vederti da queste parti! 🙂
Con gli occhi della società odierna ti direi che sì, è molto più utile mantenere i dettagli dell’originale e lasciare che il pubblico ne percepisca l’interezza, anche se magari non può cogliere ogni sfumatura. È quello a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine grazie a tutti i prodotti in lingua originale a cui possiamo accedere via Netflix e altre piattaforme televisive. Al giorno d’oggi, vista anche l’enorme produzione di serie tv, un lavoro di adattamento come quello de La Tata sarebbe impensabile. Ma a quei tempi ogni serie tv che veniva acquistata dall’estero era un investimento veramente grosso per un canale televisivo e bisognava lavorarci sopra per fare il modo che il pubblico lo apprezzasse il più possibile (e quindi rendesse l’investimento redditizio). Il pubblico televisivo ormai è cresciuto e si è aperto tanto alle visioni “altre”, e questa è solo una fortuna!
Michele dice
Per non parlare dell’assurda puntata 2×10 che pure in wikipedia viene così descritta:
In casa Sheffield si festeggia il compleanno della mamma di Francesca, Zia Assunta assume le sue veci, visto che la donna è in Italia e non sarà presente.
Mi ricordo ancora che gli ultimi 5 minuti della puntata erano incentrati sul fatto che Zia Assunta fosse dispiaciuta del fatto che la madre non era potuta andare…
Ovviamente un dialogo inventato nella versione italiana per giustificare il grande cartellone “Happy Birthday Mom” ben visibile per tutta la puntata.
Alice dice
Vero, un altro grande esempio di arrampicata sugli specchi 😀
enrico dice
Pur avendo ampiamente l’età per farlo non ho mai visto a suo tempo La tata. Mi disturbava, la trovavo poco divertente e molto fracassona. Recentemente ho visto lo show in originale e l’ho trovata una delle migliori serie comiche ever. Battute continue, azzeccate e pungenti, lei bravissima, come anche i comprimari. Come te ogni tanto switchiamo sulla versione italiana e ne rimaniamo orripilati. Dalla traduzione (le battute molto meno efficaci) e dal doppiaggio (recitato davvero pessimamente, senza verve, manierato e con un sentore di studio di registrazione raggelante). Ma poi la voce nasale dov’è finita? Nell’originale è fonte continua di gags, in italiano sparita. Non posso trovare azzeccata la trasposizione, mi dispiace, se il pubblico italiano non era pronto per i riferimenti ebraici dell’originale trovo che sia un affronto distorcere totalmente lo script come hanno fatto gli autori italiani. Potevano impegnarsi e scrivere un remake italiano (tipo The Office o Shameless da UK a USA)…
VRF dice
Amen! Le battute molte volte devono essere adattate, quello lo capisco, ma sconvolgere in questo modo una storia (per poi ritrovarsi interi episodi in cui i dialoghi non tornano per niente con le scene che stiamo guardando) è una mancanza di rispetto verso noi pubblico e verso gli autori. Come hai detto, meglio fare da capo la tua versione (so per esempio che in Argentina è stata fatta una versione locale di La Tata)… qui invece il concetto di traduttore traditore è diventato traduttore distruttore