Da qualche mese a questa parte ho iniziato un esperimento di linguaggio inclusivo sui miei canali social (Instagram e Twitter): uso il simbolo fonetico schwa /ə/ quando mi riferisco a una moltitudine di persone.
L’inclusività è un percorso e quello che passa dal linguaggio segue un cammino spesso impervio. Non è facile scardinare certe abitudini né cambiare il modo di esprimerci per permettere a chiunque di sentirsi parte del discorso.
Sembrano questioni di poco conto, ma le parole usate male pesano e scavano, radicalizzano pregiudizi, fossilizzano una società che vuole evolvere dentro ai si è sempre detto e scritto così.
È per questo che ho iniziato a usare lo schwa nella scrittura social: voglio provare a rendere il mio italiano più inclusivo con questo piccolo stratagemma.
In questo articolo spiego più nel dettaglio cos’è lo schwa e in che modo può aiutare la nostra lingua a essere meno discriminante.
Premessa importante: non sono una linguista.
I contenuti di questo articolo sono frutto di studio e letture che rientrano nel mio lavoro di copywriter focalizzata sul linguaggio inclusivo. Dietro questo pezzo c’è anche tantissimo ascolto e confronto con persone che cercano soluzioni per un linguaggio che rappresenti al meglio la loro identità.
Alla fine dell’articolo ho inserito una piccola bibliografia con gli articoli a mio parere più interessanti che hanno rinverdito il dibattito sulle soluzioni linguistiche per un italiano inclusivo.
Vuoi prima sapere cosa si intende esattamente per linguaggio inclusivo?
Il linguaggio inclusivo non si limita alle questioni di genere, ma abbraccia molte più istanze.
Scopri quali sono e perché accoglierle.
Che cos’è lo schwa?
Lo schwa, detto anche scevà, è un suono vocalico che, in italiano, non corrisponde a nessun fonema e non è parte del nostro alfabeto. Questo però non vuol dire che non lo possiamo scrivere o pronunciare (e più in basso vedremo come). 😉
Nell’alfabeto fonetico internazionale, quello che codifica i suoni di tutte le lingue del mondo, lo schwa viene posizionato al centro dello schema vocalico:
La Treccani lo definisce così:
Lo scevà è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità; spesso, ma non necessariamente, una vocale media-centrale.
Definizione di scevà, Enciclopedia dell’Italiano
Quindi come si pronuncia lo schwa?
Se a leggerlo sembra strano, o un errore di battitura, a voce è molto più semplice: lo schwa è il suono vocalico più diffuso in inglese, ma lo usiamo già anche in diversi dialetti italiani.
Il napoletano, il piemontese, il pavese, alcuni dialetti emiliani e del sud Italia fanno da secoli uso dello schwa.
Con questo video puoi imparare a pronunciarlo in meno di 5 minuti:
Come e perché usare lo schwa nell’italiano inclusivo
Ok, le premesse linguistiche ci sono ma, visto che lo schwa non esiste nel nostro alfabeto, perché e come usarlo in italiano?
Tempo fa ho trovato la risposta nella proposta di Italiano Inclusivo, risalente al 2015. Questo sito e le risorse che si trovano al suo interno, mi hanno aiutata ad approfondire i motivi per cui lo schwa potrebbe essere una buona soluzione per un italiano inclusivo (pur con tutti i suoi limiti attuali, come spiego nel paragrafo dedicato all’accessibilità).
A rafforzare la conoscenza del tema, ha contribuito tantissimo anche la sociolinguista Vera Gheno, sociolinguista e autrice che consiglio davvero di seguire.
L’insita discriminazione del maschile sovraesteso
L’italiano è una lingua flessiva: declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi, gli aggettivi e i participi passati.
Questo significa che parlare in modo neutro rispetto al genere della persona oggetto del discorso è molto difficile.
E infatti, nel nostro italiano primeggia il ricorso al maschile sovraesteso, quello su cui ripieghiamo ogni volta che ci riferiamo a una moltitudine mista, di cui possono far parte tanto donne quanto uomini o persone di genere non binario.
Un esempio banale della facilità con cui passiamo al maschile sovraesteso?
La mia classe di yoga.
La partecipazione è, nove volte su dieci, completamente al femminile e l’istruttrice coniuga le sue istruzioni di conseguenza: ci chiama ragazze, ci complimenta con un bravissime.
Una volta su dieci, però, partecipa alla lezione anche un uomo. Un solo uomo in una classe di 15 donne. In quelle occasioni, la nostra istruttrice coniuga la lezione completamente al maschile: ci chiama ragazzi e ci dice che siamo bravissimi.
Questo passaggio linguistico nasconde in un attimo un intero collettivo femminile per la sola presenza di un individuo di genere maschile. Una cosa di poco conto, forse, in un contesto informale come una classe di yoga.
Qual è invece il suo impatto quando si parla a una collettività?
Penso alla scuola, ai gruppi di lavoro in azienda o ai discorsi alla cittadinanza.
La lingua che usiamo quotidianamente è il mezzo più potente e pervasivo per trasmettere la nostra visione del mondo. Nel nostro uso della lingua italiana, lo spazio dato al maschile è ancora molto ampio e in qualche modo corrobora il principio della marginalità della donna e delle persone non binarie nella nostra società.
Se ne parlava già negli anni ’80, quando la saggista e linguista Alma Sabatini scrisse Il Sessismo nella lingua italiana.
Era il 1986, e la Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra donna e uomo le affidò la cura delle linee guida rivolte alle scuole e all’editoria scolastica per proporre l’eliminazione degli stereotipi di genere dal linguaggio.
Alma Sabatini si concentra sull’uso del maschile sovraesteso ma anche sulle lacune dei termini istituzionali e di potere mai declinati al femminile.
Non vi sono dubbi sull’importanza della lingua nella «costruzione sociale della realtà»: attraverso di essa si assimilano molte delle regole sociali indispensabili alla nostra sopravvivenza, attraverso i suoi simboli, i suoi filtri si apprende a vedere il mondo, gli altri, noi stesse/i e a valutarli.
Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Roma, 1986
C’è quindi bisogno di avanzare con un intervento più radicale per oltrepassare la natura flessiva della lingua italiana.
Finora sono state adottate diverse soluzioni per flessibilizzare l’italiano in modo che sia più inclusivo verso le moltitudini miste: asterischi *, chiocciole @, la duplicazione (care tutte e cari tutti), uso della u o della y, e tantissime altre.
Vera Gheno le ha censite qualche mese fa in questo prezioso post su Facebook.
Lo schwa rientra fra queste soluzioni e la sua introduzione nella grammatica italiana potrebbe porre meno ostacoli rispetto ad altri simboli, non leggibili né flessibili, come asterischi e chiocchiole.
Uso pratico dello schwa in italiano
In questo contesto, lo schwa /ə/ diventa una vocale vera e propria che sostituisce le desinenze di nomi e aggettivi al singolare (-a/-o):
⎪Carə amicə miə, guarda che bello schwa!
Lo schwa lungo /ɜ/, invece, è la vocale centrale semiaperta non arrotondata che può sostituire la desinenza al plurale.
⎪Spero che tuttɜ quellɜ che leggeranno questo post, mi vorranno poi dire cosa ne pensano!
Casi particolari
L’italiano è una lingua grammaticalmente complessa, e le sue irregolarità possono complicare l’introduzione dello schwa.
Luca Boschetti, nel sito italianoinclusivo.it, formula una proposta interessante per superare gli ostacoli dati dalle irregolarità nella formazione di sostantivi, aggettivi e articoli.
1. L’articolo determinativo
In italiano, l’attribuzione di genere ai sostantivi parte prima di tutto dall’articolo. Quello determinativo potrebbe rappresentare un bello scoglio da circumnavigare.
Come introdurre lo schwa nella declinazione il – lo – la – il – gli – le?
Boschetti ricorda che, nell’italiano arcaico, l’articolo maschile singolare era lo; l’attuale il è una sua derivazione posteriore.
Al singolare, quindi, l’introduzione dello schwa trasformerebbe l’articolo determinativo singolare nella formula unica inclusiva lə.
Seguendo la stessa logica, l’articolo determinativo plurale (i/gli/le) può diventare lɜ.
2. Parole ambigenere che iniziano per vocale
Le parole ambigenere (chiamate anche epicene) sono quelle che non cambiano forma con la declinazione di genere: mi vengono in mente artista, cantante, dipendente.
Cosa succede con le parole ambigenere che iniziano per vocale, come artista?
Ora abbiamo un artista per il maschile e un’artista per il femminile.
Finora abbiamo usato l’apostrofo per indicare l’elisione della a nella forma femminile.
Per questi casi, Boschetti propone di sostituire l’apostrofo con l’asterisco: un*artista.
Nel parlato, non ci sarebbe nessuna differenza.
Dal punto di vista dell’accessibilità del test, invece, l’asterisco pone non pochi problemi: ne parlo verso la fine di questo articolo.
3. Sostantivi irregolari
Altro caso che mette in luce la complessità della nostra lingua è la forma irregolare per alcuni sostantivi.
Direttore e direttrice, professore e professoressa, pittore e pittrice, poeta e poetessa, lettore e lettrice.
In questi casi, potremmo mantenere la radice della parola e aggiungere la desinenza inclusiva: direttorə, professorə, pittorə, poetə, lettorə.
Ecco un riepilogo che schematizza tutti i casi, regolari e particolari.
Dove si trova lo schwa nella tastiera del computer o del cellulare?
A prima vista… non si trova!
Ma non disperiamo: ci sono diversi modi per inserire lo schwa sia nella forma singolare ə che nella forma plurale ɜ.
La combinazione di tasti però dipende dal sistema operativo che stai usando.
Io uso un Mac e ho salvato lo schwa tra i miei simboli preferiti.
Apro la tavola Emoji e Simboli dalle impostazioni della tastiera:
E poi cerco lo schwa:
È anche possibile salvare una scorciatoia da tastiera usando le preferenze di sistema del Mac:
Preferenze del sistema > Tastiera > Testo > +
Facendo clic sul segno più, puoi scegliere la combinazione di tasti che il Mac tradurrà con ə:
Per quanto riguarda il telefono, io ho un Android e uso la tastiera integrata del mio telefono dove ho installato tre lingue: inglese, italiano e spagnolo.
Trovo lo schwa premendo a lungo sul tasto e.
In alternativa, con una tastiera Swiftkey, scaricabile da Google Play, puoi salvare il simbolo ə e richiamarlo con una combinazione di tasti mentre scrivi.
Per una panoramica delle altre scorciatoie per Windows e iOs ti consiglio di fare riferimento alla sezione Strumenti del sito Italiano Inclusivo.
Una lingua che accompagna una società in evoluzione
Lo schwa mi piace perché credo nel suo potere di far cadere la barriera linguistica di genere, rappresentando anche le persone che non si riconoscono nel binarismo di genere (e sono tante, più di quante crediamo).
Una società che cambia e si evolve ha bisogno di una lingua che le vada dietro. Possiamo contribuire a farlo con una vocale in più.
La questione accessibilità: lo schwa è accessibile?
Da quando ho pubblicato per la prima volta questo articolo a settembre 2020, è passata molta acqua sotto i ponti. Lo schwa sta prendendo lentamente piede anche grazie ai social e al sostegno di personalità in ambito artistico e culturale.
Ora che conosci lo schwa in ogni suo aspetto, e magari stai seguendo con curiosità il dibattito che si sta sollevando intorno al suo uso, rimane una domanda importante da porci:
Lo schwa è davvero accessibile?
Con il termine accessibilità (web) si intende l’insieme di buone pratiche tecnologiche che permettono la fruizione di contenuti digitali da parte del maggior numero di persone, a prescindere dalle loro caratteristiche.
Il caso dello schwa, in particolare, rappresenta un ostacolo per le persone neuroatipiche, quelle che leggono i testi tramite lettori di schermo o chi semplicemente non ha mai visto questo simbolo.
Purtroppo non sono ancora riuscita a trovare fonti che parlino delle difficoltà di lettura dello schwa per persone neuroatipiche: se tu sei fra queste o hai dei suggerimenti, scrivimi!
❗️Edit: a ottobre 2021, l’artista Immanuel Casto ha spiegato sul suo profilo Facebook le difficoltà che, come persona con dislessia, incontra con lo schwa.
Per quanto riguarda i lettori di schermo, invece, le opinioni non sono univoche.
Alcuni lettori di schermo, come il Voice Over integrato nei computer Mac, il TalkBack di Android o l’estensione FireFox Read Aloud che uso anche io per “rileggere” i miei testi, non leggono lo schwa e lo interpretano come un suono muto.
Ho trovato online due simulazioni che fanno capire come diverse tecnologie assistive approcciano lo schwa e altri simboli diffusi nel linguaggio di genere, come l’asterisco *, la x o la @:
- un lettore di schermo che si destreggia tra schwa (sia corto che lungo), asterisco, x e chiocciola;
- il TalkBack di Android alle prese con le varie soluzioni di linguaggio di genere.
Rispetto ad asterisco, x e @, l’esperienza di lettura dello schwa tramite lettore di schermo sembra quella meno disturbata.
In questo bell’articolo su schwa e accessibilità, però, Lucia Iacopini, pedagogista clinica ed esperta di inclusione in ambito scolastico, riporta che l’applicazione VoiceOver per iOS (iPhone e iPad), pronuncia lo schwa come “e-girata”.
Questo comportamento costituisce senza dubbio un ostacolo per la fruizione del testo.
Così come succede per l’asterisco, che viene letto per intero dai lettori di schermo (es. la parola bambin* diventa bambinasterisco), una mancata interpretazione dello schwa da parte delle tecnologie assistive è un limite che non possiamo ignorare.
Questo perché l’inclusione non può esistere senza passare per l’accessibilità.
Come già avviene in altri ambiti, anche nella comunicazione digitale l’accessibilità è uno degli strumenti fondamentali per mettere in pratica l’inclusione.
Per un punto di vista più tecnico su altri problemi che al momento pone lo schwa, credo che questo test dell’agenzia ChiaLab di Bologna sia molto interessante.
Ecco alcuni dei problemi affrontati nel test:
- lo schwa non è presente in molte famiglie di web font, quindi il suo uso sul web è limitato;
- ə è un carattere speciale, quindi non può essere inserito negli URL;
- alcuni sistemi di indicizzazione non interpretano correttamente il termine schwa e anche i motori di ricerca semantica, come quelli di Google e Bing, potrebbero presentare lo stesso problema.
La cosa bella di questo documento è che presenta delle proposte di soluzioni tecniche per facilitare l’integrazione dello schwa dal punto di vista tecnico.
Detto questo, la risposta alla domanda iniziale è:
No, lo schwa non è ancora una soluzione accessibile.
E quindi? Dovremmo usarlo oppure no?
La coperta dello schwa è ancora corta. Se da un lato risponde alla necessità di una declinazione neutra inclusiva dal punto di vista del genere, dall’altro finisce per escludere tutte le persone che per una qualche difficoltà non possono fruirne correttamente.
Per questo motivo, al momento ho deciso di usarlo solo nella mia comunicazione social come gesto di attivismo e sensibilizzazione.
Non lo includo nel mio lavoro di redazione di testi per il web né nelle mie traduzioni perché mi servo di altre tecniche di scrittura inclusiva.
Il mio lavoro di web copywriting inclusivo non può prescindere dall’accessibilità: ho grande fiducia nello schwa e osservo con grande attenzione la sua diffusione. Credo però sia importante continuare a considerarlo una soluzione in potenza.
Prima di poterlo considerare come LA soluzione, è necessario un lavoro di adattamento sia dal punto di vista tecnologico che da quello didattico.
Solo in quel momento potremmo affermare la totale accessibilità di questa promettente soluzione per il linguaggio inclusivo.
Per concludere
Può sembrare superfluo, ma ci tengo a specificarlo: so che non sarà uno schwa a salvare, da solo, l’inclusività del linguaggio. Sono tante altre le misure che ancora dobbiamo abbracciare per raffigurare le diversità della nostra società e migliorare la rappresentanza di genere.
Anche (e soprattutto!) con i fatti, non solo con le parole.
Ma ecco, ricordiamo che pensare a soluzioni per rendere più inclusiva la nostra lingua non toglie alcuna energia alle altre importanti questioni che girano intorno alla parità di genere. 💛
Per saperne di più sull’uso dello schwa nel linguaggio inclusivo
- Le origini dello schwa, sull’Enciclopedia dell’Italiano della Treccani
- La prima proposta strutturata per l’uso dello schwa: Italiano Inclusivo di Luca Boschetto
- Vera Gheno argomenta la sua preferenza per lo schwa su La Falla, l’almanacco del Cassero
- Sempre Vera Gheno sul dibattito attuale intorno allo schwa, The Submarine
- Una guida pratica al linguaggio inclusivo, con schwa, ma non solo, di TDM Magazine
- Buone pratiche per un linguaggio neutro, Trans Media Watch Italia
- Il difficile dibattito in Italia per un linguaggio inclusivo, Valigia Blu
Se invece ti interessa leggere il saggio completo di Alma Sabatini, da qui puoi scaricare Il sessismo della lingua italiana del 1986.
Enrico dice
Il sessismo, così come la bellezza, è negli occhi di chi osserva.
Trovo molto meno inclusivo l’utilizzo della schwa, che di fatto identifica un terzo genere “misto ed indefinibile”, piuttosto che l’utilizzo delle vocali. Secondo il tuo modello di pensiero, “inclusività” significa creare nel linguaggio etichette che vadano bene a tutti, in altre parle vorresti creare delle parole che quando utilizzate non ledono la sensibilità di nessuno. Abbassandomi ai tuoi livelli di ragionamento, utilizzando questo linguaggio non stai includendo me, che mi identifico nell’utilizzo corretto della lingua. E allora che ne è dell’inclusività?
Detto ciò, torniamo per un attimo all’introduzione del terzo genere “neutro”. Con questo articolo mi stai dicendo che vuoi parcellizzare ancora di più il lessico, vuoi atomizzare i significati, vuoi segmentare ancor di più il genere. Lasciami dire che questo atteggiamento è la nemesi dell’inclusività. Stiamo creando miliardi di categorie di genere, ed ognuna di loro si lamenta del fatto di non sentirsi inclusa. Tutto ciò è totalmente derivativo del modello materialistico in cui viviamo, in cui la sessualità da un lato è iper-ostentata e dall’altro iper-stigmatizzata. La sessualità crea interesse su tanti livelli e quindi crea polemica. L’inclusività è però un concetto che non ha niente a che vedere con la sessualità, essere inclusivi significa semplicemente riconoscere che le diversità di genere sono non-diversità e come tali andrebbero trattate. Essere inclusivi significa semplicemente amare se stessi e il prossimo, no-matter-what.
Il maschile ed il femminile sono aspetti onnipervasivi della vita e occorre considerarlo. Non sono aspetti legati alla sola sessualità. Ognuno di noi ha sia aspetti maschili che femminili a livello profondo, quindi che si fa? Iniziamo a coniare termini per le varie percentuali? “Se ti senti maschio per più del 40% potrai usare la schwa, altrimenti userai l’asterisco”. Rabbrividisco.
Se si parlasse semplicemente di essere, di uguaglianza ed equità sarebbe un bel passo avanti. Invece stiamo qui a creare sempre più categorie e a lamentarci di non avere un linguaggio abbastanza inclusivo. Ripigliamoci! 🙂
Inizierò ad utilizzare l’italiano inclusivo quando i promotori di questa pagliacciata inizieranno ad amare il prossimo come amano se stessi. E con “prossimo” intendo anche persone che dal vostro punto di viste sono “non-inclusive”.
Per inciso, io vi amo tutti 🙂
Alice dice
Ciao Enrico, il tuo commento inizia con una frase che, da sola, meriterebbe un trattato:
> Il sessismo, così come la bellezza, è negli occhi di chi osserva.
Io sarei più precisa e direi che il sessismo è negli occhi di chi lo VIVE. E da come decidi di “abbassarti ai miei livelli di ragionamento” capisco che non tu non abbia idea di cosa voglia dire subire discriminazioni legate al proprio sesso biologico o al genere. Me lo confermi quando scrivi:
> essere inclusivi significa semplicemente riconoscere che le diversità di genere sono non-diversità e come tali andrebbero trattate.
So che può essere sconvolgente per chi non ci ha mai pensato a fondo, ma la realtà è ben più complessa della dicotomia “maschio e femmina”, che tu lo voglia vedere o no.
Per rimanere strettamente nell’ambito di questo articolo, lo scwha è una proposta di INTEGRAZIONE, non toglie nulla alla lingua italiana né propone di raderne al suolo la grammatica; offre semplicemente un punto di vista più ampio, che abbracci la complessità della società in cui viviamo. Non si tratta quindi di parcellizzare, ma di ampliare lo sguardo e la prospettiva.
Lo so, ci vuole fatica, impegno, e voglia di vedere al di là del proprio naso.
Volevo rassicurarti sul fatto che non verrai mai obbligato a usare lo schwa, se non vorrai. 🙂
Kaveen dice
Sono d’accordo con te e soprattutto sul Ripigliamoci! 🙂
Maria Grazia dice
Per me, come persona ipo-udente e facendo uso della lettura labiale lo Scwha sarebbe non solo inaccessibile ma mi taglierebbe ulteriormente fuori nella mia abilita’ di partecipare in conversazioni. Vivo in Inghilterra e sono molto piu’ “disabile” con la lingua inglese per quanto la parli perfettamente, proprio perche’ non esiste la pronuncia completa delle vocali. Quindi avere questa caratteristica anche in Italiano per me sarebbe una fonte di ulteriore esclusione e discriminazione. Nel mio modesto parere la risposta e’ NO.
Alice dice
Ciao Maria Grazie, grazie mille per aver scritto la tua opinione. È vero che, al momento, uno degli aspetti più critici dell’adozione dello schwa è proprio la sua accessibilità per le persone con difficoltà visive e uditive. Purtroppo al momento non esiste una soluzione perfetta, che sia al 100% inclusiva e accessibile, ma ho fiducia nel fatto che il dibattito di questi tempi potrà in qualche modo portare a una soluzione valida per chiunque.
Come scrivo anche nell’articolo, lo schwa è una proposta e non vi è nessun obbligo di utilizzo; ma credo che, come aggiunta per comunicare in modo più inclusivo con una prospettiva di genere, sia senza dubbio un importante passo avanti.
Alex dice
Ciao Alice,
Articolo molto interessante e ben scritto. Purtroppo non mi piace il modo in cui suona la pronuncia dello schwa nel linguaggio parlato. Sarà solo questione di abitudine? Secondo te è ancora fin troppo presto da usarlo nel parlato?
albert einstein dice
Quotando “Lo so, ci vuole fatica, impegno, e voglia di vedere al di là del proprio naso”: E’ grazie a molte persone che a differenza tua guardano molto al di la del proprio naso che spero la questione della schwa sia solo un inutile fuoco di paglia.
Credo che la Schwa sia solo una immane assurdità, poichè non solo non include un bel niente ma dematerializza categorie già ben definite e che rappresentano la stragrande maggioranza delle persone. E’ inutile girarci intorno, e chi parla tanto di democrazia dovrebbe anche tener conto della maggioranza popolare, la quale trova questa trovata dialettica un inutile strato di complicazione. Per un capriccio di pochi si sacrifica l’abilità comunicativa di tutti, senza un motivo pratico poichè usare la schwa non cancella magicamente le discriminazioni nel mondo reale. La vita soprattutto di questi tempi è gia difficile, se impiegaste il tempo consumato a partorire tali aberrazioni in attività utili all’inclusività VERA nella vita pratica di tutti i giorni ne gioverebbero tutti, compresi gli esclusi.
Dunque un secco NO, e tra parentesi se Dio (per i credenti) o la biologia (per gli atei) non ci ha fatto tutti schwa dall’inizio (non uomo e non donna, un essere unico) da quando l’uomo ha iniziato a camminare sulla terra probabilmente ci sarà una ragione infinitamente più giusta. O quantomeno più efficiente, e la natura è efficienza e selezione, anche nei milioni di anni a venire. Ama e rispetta il prossimo tuo come te stesso, e farai un miglior uso del tuo tempo.
Alice dice
Buongiorno 🙂
Grazie per aver lasciato qui la tua opinione e aver dedicato il tuo prezioso tempo a criticare una soluzione che non ti interessa usare e che non ti minaccia in alcun modo. Mi stupisce sempre quanto la questione Schwa scaldi gli animi, quindi ne approfitto per ricordare alcune cose:
– la proposta dello schwa è una delle tante che al momento si discutono per superare il binarismo m/f della nostra lingua: è una necessità che nasce da istanze concrete, di rappresentazione che passa anche dalla parola scritta;
– lo scwha, così come le altre desinenze proposte (*, -y, -u, -x) non toglie nulla alle desinenze già esistenti nella nostra grammatica: sono solo delle AGGIUNTE, quindi non vogliono dematerializzare nulla;
– questo vuol dire che la “stragrande maggioranza” delle persone che non ha mai sentito il bisogno, secondo te, di usare una desinenza neutra, potrà continuare a non farlo, se non vorrà. Si tratta di PROPOSTE che servono a sollevare un problema per certe categorie di persone: non c’è nessun obbligo di utilizzo;
– quello che tu definisci “capriccio di pochi” è in realtà un grosso problema di rappresentazione e accettazione sociale: sono consapevole del fatto che sia molto difficile percepirlo, se non si sono mai vissute in prima persona discriminazioni sessiste: ma proprio per questo motivo, sarebbe opportuno non sminuire qualcosa che non si conosce e a cui non si ha voglia di prestare ascolto. Perché l’immagine che mi viene in mente, quando leggo commenti tanto astiosi verso le proposte di linguaggio più inclusivo, è quella di una persona che per qualche motivo si sente attaccata nella sua posizione di privilegio. E questo mi fa pensare, tanto, e mi convince di essere sulla buona strada;
– la vita è dura per chiunque, è vero: ma ti garantisco che, noi che parliamo di linguaggio inclusivo, nella vita di tutti i giorni abbiamo ancora un sacco di energie per occuparci di altre questioni: io, per esempio, mi occupo di volontariato con persone richiedenti asilo, partecipo come volontaria a progetti open-source e cerco di studiare il più possibile per creare spazi web più accessibili e inclusivi.
Tu, invece, di quali istanze di inclusività nella “vita vera” ti occupi ogni giorno?
Ultimo appunto: i commenti a questo blog non compaiono automaticamente perché li approvo io manualmente appena ho tempo di connettermi al back-end del sito. Nessuna fuga dal confronto, quindi. Ma mi sembra piuttosto ironico doverlo spiegare a una persona che si firma “albert einstein” e non ha nemmeno il coraggio di commentare con il suo vero nome 😅
albert einstein dice
Il fatto che il mio lungo precedente post sia stato cancellato mi suggerisce che abbia colto nel segno, quando parlavo dell’assurdità della schwa, vero?
Oppure temiamo il confronto?
Alice dice
Vedi risposta sopra 😉
Vincenzo dice
Complimenti, oggigiorno è raro trovare articoli realmente informativi, o anche trovare attenzione da parte degli autori per la ricerca, oltre che interesse nel fornire un contenuto che provi ad arricchire il lettore invece che soddisfarlo ed alimentarne convinzioni già sedimentate.
Cionondimeno trovo errato concettualmente individuare nella flessione della lingua la radice del problema, un meccanismo grammaticale che mi sembra tirato in ballo senza una sua corretta comprensione: innanzitutto è errato limitare la flessione alla sola determinazione del genere grammaticale, tra i vari la coniugazione dei verbi, la costruzione di forme alterate, o i plurali sono tutti ottenuti per flessione. Le sole flessioni per genere non sono sempre binarie nelle lingue ma possono avere un genere neutro accanto agli altri due. Va inoltre evidenziato come siano costruiti proprio per flessione tutti i cambiamenti linguistici proposti di nei recenti dibattiti (vedasi i femminili professionali). Molte lingue flessive peraltro non posseggono categorie di genere, impiegandone altre non presenti magari in lingue come la nostra, come il binario animato/inanimato, o più categorie miscellanee.
Infine non può dirsi meglio includente una società la cui lingua non ha un genere grammaticale, o ne ha ma non strettamente maschio/femmina. Ad esempio l’inglese è la lingua non flessiva per eccellenza, in teoria ogni nome, pronome o aggettivo è da considerarsi grammaticalmente neutrale, ma ciò non la rende una lingua automaticamente inclusiva; come da noi sono convenzionali termini di genere o maschili sovraestesi: firemen o policemen (ai quali i gruppi per l’inclusione oppongono soluzioni quali fire fighters, police officers, rispettivamente), hostess/steward (femmina/maschio rispettivamente, da sostituirsi entrambi con flight attendant), manpower (workforce o labour force), mankind (humanking), sono tutti esempi neutri grammaticalmente ma palesemente di genere. Le alternative proposte possono o meno introdurre espressioni nuove o favorirne di esistenti a scapito di quelle considerate patriarcali, l’assenza di flessioni per genere però non è mai stato un ostacolo alla rappresentazione della struttura sociale binaria e patriarcale di cui la società inglese è comunque esempio.
La mia obiezione non punta a contestare le posizioni espresse nell’articolo, che non ho peraltro commentato, ma vuole essere un invito a rivedere nell’articolo un punto che immagino sia stato solo scarsamente approfondito, nella speranza di un arricchimento ulteriore del discorso intrapreso.
Alice dice
Buongiorno Vincenzo, grazie mille per queste utili puntualizzazioni. Sono consapevole del fatto che il mio articolo non approfondisce il tema della flessione della lingua, che meriterebbe una trattazione a parte e non certo mia – che non sono una linguista. Ma il suo commento mi ha fatto pensare che in effetti il titoletto che ho scelto può essere fuorviante e che manca un link che riporti a una fonte più dettagliata sul tema. Lo aggiungerò, grazie.
leila dice
Un articolo molto interessante e ben studiato e un utile passo avanti in un dibattito complesso.
Le lingue cambiano sempre. Noi inglese (io sono inglese) siamo fortunati ad aver perso le nostre inflessioni verbali centinaia di anni fa e non abbiamo molte parole specifiche per genere. Per quelli che esistevano abbiamo spesso trovato alternative non specifiche. Ora stiamo cominciando ad accettare ‘they’ come terza persona singolare oltre che plurale: e perché no? Abbiamo già solo una parola per la seconda persona singolare e plurale (‘you’) e la usiamo senza problemi.
Sì, il codice informatico ha ancora qualche problema, ma di certo non sono insormontabili: il W3C potrebbe prendere in considerazione l’idea di formulare raccomandazioni per l’uso di nuovi simboli e sintesi vocale.
In italiano, dato che i cambiamenti sono più fondamentali, sarà molto più difficile, ma il tuo articolo è un buon passo avanti. Grazie.
Alice dice
Grazie a te per il commento, Leila. Il ‘they’ inglese è davvero comodo, vediamo quale soluzione diventerà predominante in italiano! 🙂
Guido dice
Terrificante l’uso di questa lettera fonetica. Non mi piace e non approvo il suo uso. Non c’è niente di male nel declinare al maschile. Avete rotto abbastanza con queste stupidate dell’inclusività. Basta. La tradizione al maschile mi sta benissimo.
Alice dice
Buongiorno Guido. Come ho avuto modo di scrivere già sotto altri commenti, l’uso dello schwa non è obbligatorio; se lei non ne approva l’uso, potrà continuare a ignorarlo. Ma questo non la deve legittimare a sminuire il dibattito e le istanze di persone per cui questi sono temi prima di tutto una questione identitaria.
Arianna Strippoli dice
Grazie Alice,
Per il tuo articolo ben scritto. Insegno italiano in un liceo americano dove l’inclusività è un dato di fatto (e non qualcosa da discutere ogni volta, soprattutto non da chi il privilegio che ha dalla nascita neanche lo percepisce) e mi pongo spesso questo problema. Adotterò lo Schwa spiegando che è ancora una situazione in fieri e sperando che le società editrici di libri per apprendenti di Italiano L2 se ne accorgano il più presto possibile – o, almeno, che comincino a pubblicare testi che includano una cosa ovvia come il femminile delle professioni. 🙂
Cordiali saluti,
Arianna
Alice dice
Grazie per il tuo messaggio, Arianna. Iniziare dai femminili professionali sarebbe già una gran cosa, sono d’accordo! 🙂
Giuseppe dice
Dal mio punto di vista è il pensiero che deve cambiare, l’approccio. È assurdo pensare di poter cambiare la grammatica; la lingua italiana è complessa e andrebbe stravolta (a differenza di quanto scritto nei commenti). Seppur un gesto nobile e di buonissime intenzioni, non si può attuare, ci sono troppe sfaccettature di linguaggio, troppe situazioni particolari che invece di semplificare, le complicherebbe ulteriormente.
Posso esporre delle soluzioni di pensiero a riguardo: “il genere neutro in italiano è designato dal maschile”… Questo è ciò che vediamo. Ciò che dovremmo pensare è “il genere neutro in italiano è designato COME il maschile”. Cambia tutto, si vede la cosa in una diversa prospettiva. Questo è un esempio del concetto che voglio esprimere: il cambio di pensiero e non il cambio di linguaggio, in quale invece porterebbe solamente (sempre a mio parere) una difficoltà di comunicazione, non tanto a livello di integrazione sociale, ma a livello intrinseco di utilizzo è complicato, non si può attuare, ma soprattutto non si può modificare una lingua in modo così artificioso. È la lingua che si evolve in base al pensiero e non il contrario, per questo motivo sono contrario.
Vi lascio con dei video secondo me molto riflessivi che rispecchiano esattamente quello che penso e lo spiegano in modo migliore di quanto possa fare:
Primo parte: https://www.youtube.com/watch?v=PcAUnue4H6I
Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=wsvyaxpaKIs
Saluti a tutt[ALT+51] 😉
anna dice
peccato che la radice di pittore non sia PITTOR- ma PIT.
in questo modo cosa cambia? Prendere pittor come radice è comunque una scelta per il maschile. Attaccarci una schwa in fondo non cambia nulla.
Echelon dice
A me tutta questa storia della schwa sembra una idiozia. La società inclusiva che vedo riflessa nella lingua italiana è quella per cui si può usare la versione maschile o femminile a piacimento. Punto. In tedesco dovrebbero “stuprare” la loro lingua e imporre per tutti i sostantivi il neutro? A me piace pensare ad una società in cui se io (maschio), tre amici maschi e due amiche femmine ci ritroviamo possiamo definirci un gruppo di amiche senza che qualcuno salti sulla sedia. Punto.
Alice dice
Buongiorno Echelon. Il fatto che a lei questa storia dello schwa sembri un’idiozia è irrilevante, nel senso che fuori dalla sua bolla ci sono invece tantissime persone per cui questo tema è importante e vale la pena di essere dibattuto. Per sua informazione, sì, anche in tedesco si stanno adottando (e da molto prima che in Italia), soluzioni per rendere la lingua più inclusiva. Pensi che addirittura il Goethe Institut raccomanda di fare approfondimenti sul tedesco inclusivo nei suoi corsi di lingua. Qui può leggere qualche info in più: https://www.goethe.de/ins/it/it/spr/mag/21967217.html
acaba dice
Inannzitutto grazie mille per questo articolo: supporto l’idea di un linguaggio inclusivo, specialmente in un’epoca di discriminazioni dilaganti e dirompenti.
Poi proseguo con una domanda pratica, anzi due o tre 🙂 non so dove altro cercare sul web, forse manca un sito che raccoglie questo tipo di evoluzioni della lingua italiana?
Qui la domanda pratica:
quando voglio utilizzare lo schwa, come declino gli articoli partitivi?
Ho guardato nella sezione “Uso pratico dello schwa in italiano”, ma mi restano alcuni dubbi.
Per esempio, se voglio scrivere quello che in italiano non-inclusivo sarebbe “i dipendenti”, utilizzando lo schwa diventa “lɜ dipendenti”.
Ma se volessi scrivere dello “stipendio dei dipendenti”, come trasformo l’articolo? Diventa “lo stipendio dellɜ dipendenti”?
L’articolo viene in ogni caso declinato con la desinazione (non-inclusiva) al femminile?
Poi qui di seguito invece un mio parere personalissimo, corroborato dai commenti raccapriccianti letti qua sopra, ma anche forse generato dal fatto che io non sono unə linguista:
già sappiamo che le persone (italianə compresə) sono molto restie a qualsiasi tipo di cambiamento, introdurre un nuovo simbolo in un mondo digitalizzato dove per scrivere bisogna toccare tasti e fare clicks, diventa un’impresa ercolina…
A sto punto perchè fare una distinzione tra schwa plurale e singolare?
Di recente ho letto il mio primo libro in lingua italiana che utilizzava la schwa, ma dove compariva solo la versione al singolare “ə”, ed a mio sentore saltava un po’ di qua ed un po’ di là nel suo uso, ergo la mia domanda pratica antecedente. Comunque, non ho sentito la necessità di quest’altro simbolo “ɜ”, di cui sono venutə a conoscenza solo da questo sito. È forse il caso di andare passo-a-passo ed introdurre un simbolo alla volta nelle nostre piccole teste e tastiere? Per non parlare delle nostre lingue… ma quello sarà un altro capitolo!
un abbraccio, spero di ricordarmi di controllare le eventuali risposte a queste domande, altrimenti le lascio ad altrɜ 🙂
claudio morelli dice
Non mi piace lo schwa, non mi piacciono gli asterischi, e, visto che lei sottolinea il fatto che non vi sarà mai alcun obbligo ad usarlo, io ne approfitto. Non lo userò mai e spero di vederlo usato in documenti pubblici il meno possibile. Il fastidio che questo fatto mi dà è legato al fatto che si tratta, per me, di mera e pura ideologia. Una delle tante forme di politicamente corretto che ammorbano la società occidentale. Non vedo proprio perché non debba bastare scrivere ad esempio ” tutte e tutti”, includendo maschile e femminile, e invece ci si debba intestardire in operazioni assurde. Lei mi dirà che è per includere anche i non binari. Quanti sono i non binari ? Leggo che si può pensare ( non sono dati forniti dalla Meloni, sono su Wikipedia ) che si tratti di percentuali intorno a un ottimistico 1% della popolazione. Naturalmente lei mi dirà che invece sono molti di più, prevedo. Quindi: per un 1% di persone appartenenti a tale “categoria” io devo ammattire con segni di e rovesciate, asterischi, e magari provare a parlare e pronunciare le parole in modo ridicolo? Infine: quanti, davvero, tra questo 1% si sentono “offesi” se partecipando a un convegno sentono dire l’abominevole frase ” benvenuti tutti” ? Non giustificata dai numeri, la cosa è dunque purissima ideologia estremista. Io la rifiuto .